domenica 20 dicembre 2009

Auguri di Buon Natale 2009

La Natività di Lorenzo Lotto
Il quadro, realizzato nel 1530 circa, è esposto dal 24 novembre fino a metà gennaio al museo diocesano ambrosiano di Milano. Il dipinto raffigura l’interno della capanna di Betlemme in cui si trovano la Madonna, San Giuseppe, due pastori e due angeli intenti ad adorare il Bambino Gesù.
Ho sentito parlare di Lorenzo Lotto per la prima volta da mio figlio di sette anni, venti giorni fa, che con la sua classe è andato in visita guidata al museo per ammirare il capolavoro della Natività.
Di fronte alla baldanza di mio figlio per quanto aveva visto gli ho posto alcune domande.
“Cosa ti ha colpito di questo quadro?”
“Gesù Bambino che gioca con l’agnello e la figura dell’angelo, l’unico che non guarda il bimbo ma guardava me!”
“Come guardava te?”
“Si, guarda fuori dal quadro, come se guardasse me”.
“…vabbè!”.
L’ho ringraziato per il giudizio ma ho lasciato lì la questione non avendo ben chiaro cosa volesse dire mio figlio.
La scorsa settimana sono stato invitato al museo per vedere il quadro.
Sono andato curioso di capire cosa volesse dire mio figlio e sono rimasto folgorato per quanto ho visto!
La figura dell’angelo che guarda fuori dal quadro è davvero impressionante, ti cattura!!. Guarda me, guarda te, guarda chiunque è rivolto verso il quadro. E’ uno sguardo polarizzante che invita a puntare gli occhi sul focus del quadro: il Bambino che gioca con l’agnello.
Ma è lo sguardo di chi richiama a guardare al centro della vita, a ciò che è fondamentale.

La visita al museo è stata guidata dalla curatrice della mostra, un’esperta davvero innamorata del suo lavoro, che con passione e commozione ci ha spiegato con dovizia di particolari i dettagli del quadro, aspetti che io non sarei mai riuscito a cogliere se non ci fosse stato uno che mi guidasse in questo percorso.
Il quadro è definito un capolavoro dell’arte intima, perché se non fosse per le ali degli angeli, la scena rappresentata nel quadro sarebbe qualcosa di ordinario, che coinvolge una qualunque famiglia povera dell’epoca.
C’è un bimbo che gioca, una madre che lo accudisce, un padre un po’ in disparte che guarda stupito, due visitatori che portano un dono, due giovani che accompagnano gli ospiti. Il tutto in un ambiente povero, una stalla, dove gli animali sono anche loro parte integrante della raffigurazione.

Il protagonista del quadro è naturalmente il Bambino che gioca teneramente con il muso dell’agnello, dono dei pastori e simbolo del Sacrificio pasquale. Il Bambino che abbraccia il suo Destino.!
Un bambino che ha movenze umane, reali, raffigurato nell’atto di toccare il muso dell’agnello che si propende verso il bambino come per annusarlo. Il pittore per attribuire maggiore realismo alla scena ha volutamente ombrato il viso del Bambino attraverso il suo stesso braccio.
La Madonna ammira il Bambino che gioca, in ginocchio sulla stessa mangiatoia in cui è posto il figlio.
I due pastori non sono pastori qualunque. Gli abiti eleganti che portano, sono i tipici dei ricchi dell’epoca in cui è stato dipinto il quadro. Lo si vede dal particolare del colletto delle camicie, orlato e ricamato. Questo particolare dei pastori e la dimensione del dipinto suggeriscono due aspetti: uno, che la tela fosse destinata alla parete di un palazzo privato e che molto probabilmente il volto dei due pastori fosse quello dei due committenti, probabilmente due fratelli che hanno chiesto al pittore di essere rappresentati.
Due, vuol significare che l’avvenimento cristiano è un fatto contemporaneo, vivo allora, come duemila anni fa, come oggi. Al posto dei due pastori, in quel quadro ci sono io, c’è ognuno di noi. Tutti siamo richiamati al fatto che Dio si fa carne ogni giorno.
E questo richiamo è aiutato dallo sguardo dell’angelo che rivolge la sua attenzione agli spettatori, esortandoli alla devozione. Guarda fuori perché chi ammira il quadro possa concentrarsi sulla scena del bambino con l’agnello.
Gli angeli raffigurati hanno le mani appoggiate sulle spalle dei due pastori: sono come gli angeli custodi, coloro che ti guidano e ti accompagnano.
Tu non sei solo nel cammino che intraprendi!
San Giuseppe è in disparte rispetto alla scena centrale, con il corpo illuminato e lo sguardo in ombra: è come se non capisse bene cosa sta accadendo, come se di fronte alla scena mostrasse qualche perplessità. Ma c’è, e si gode il bambino.
L’asino e il bue non sono in secondo piano, ma posti sullo stesso livello della Madonna, come a rafforzare il volere rappresentare una scena quotidiana, dove non c’è nulla di artificiale e o di speciale.
Anzi, l’eccezionalità passa attraverso l’ordinarietà!!.
Dal fondo buio della capanna si scorge una luce crepuscolare che filtra attraverso la finestra e la porta, che avvolge tutta la scena, evidenziando dettagli architettonici, e sottolinea alcuni delicati passaggi chiaroscurali.
La scena è di grande intensità emotiva, l’umano e il divino si fondono. Vale la pena potere visitare il dipinto e saperne di più su un pittore, come Lorenzo Lotto, bistrattato a Roma dal Papato, che ha avuto grande successo in aree meno note e ricche nel panorama artistico dell’epoca, e che può essere considerato un precursore di Caravaggio.

Colgo l’occasione per augurare a tutti voi, Buon Natale e Felice Anno Nuovo.

lunedì 14 dicembre 2009

Film in spagnolo n.4

SON DE MAR
Di Bigas Luna

Un giorno di fine estate, Ulisse, un giovane e affascinante insegnante giunge in una piccola città per assumere l’incarico di professore di letteratura presso l’istituto della città.
Qui scoprirà la sensualità del Mediterraneo attraverso il mare, l’odore delle arance e delle patate fritte preparate da una giovane, Martina, figlia dei proprietari della casa dove alloggia Ulisse.
Ulisse non può evitare di innamorarsi di lei, e Martina cede di fronte alle storie che lui le racconta. I due si sposano e hanno un figlio. Però una mattina, dopo essere uscito con la barca per una battuta di pesca del tonno, Ulisse sparisce.
La sua barca viene recuperata tra gli scogli qualche giorno dopo, portata dalla mareggiata che si è scatenata a seguito di un violento temporale.
Di Ulisse non si sa nulla, è dichiarato morto e si celebrano i funerali.
Martina cede alle lusinghe di un suo vecchio spasimante, ricco uomo di affari, e si risposa con lui che, tra l’altro, riconosce il figlio di lei come suo legittimo.
La vita scorre tranquilla tra gli agi del benessere, quando una sera Martina riceve una telefonata. E’ la voce di Ulisse, che di nome e di fatto, dopo aver peregrinato per gli oceani è riuscito a tornare dalla sua amata.
Inizia una storia appassionante e coinvolgente, un amore ritrovato, molto passionale e sensuale, che porta pian piano alla rottura tra Martina e il secondo marito. Ma questi non cede e organizza una vendetta: fa sabotare la barca a vela su cui vive Ulisse clandestinamente.
Così, una sera, Martina e Ulisse, indossati gli abiti del loro matrimonio, decidono di salpare alla volta di una nuova meta, disposti ad affrontare assieme un viaggio senza ritorno, un avventura per la quale Ulisse ha attraversato i mari pur di ritornare da Martina.

giovedì 10 dicembre 2009

La mia Giornata della Colletta Alimentare

“La confusione e lo smarrimento, in questo tempo di crisi, sembrano diventati lo stato d'animo più diffuso tra la gente.Imbattersi, però, in volti lieti e grati, per la sorpresa di essere voluti bene, scatena un desiderio e un interesse che trascinano fuori dal cinismo e dalla disperazione.Per questo anche quest'anno proponiamo di partecipare alla Giornata Nazionale della Colletta Alimentare, perché anche un solo gesto di carità cristiana, come condividere la spesa con i più poveri, introduce nella società un soggetto nuovo, capace di vera solidarietà e condivisione del destino dei nostri fratelli uomini”

Come ogni anno, la Giornata Nazionale della Colletta Alimentare è preceduta da dieci righe di giudizio e di invito al gesto di carità.
Quest’anno è giunta alla 13° edizione: personalmente sono dieci anni che partecipo come volontario, cinque come capo equipe del centro commerciale vicino casa mia.
In occasione del primo incontro di preparazione alla giornata della colletta, il responsabile della zona sud MI ci ha posto una domanda: “Perché, anche quest’anno, avete accettato di fare il capo equipe? Cosa vi muove?”
A turno, in maniera libera, si sono succeduti una serie di interventi di amici che hanno raccontato la loro esperienza e dato le loro ragioni. Quando è arrivato il mio turno, a cui fino allora avevo cercato di sottrarmi, ho abbozzato un intervento senza la pretesa di essere esaustivo ma che ha tentato di dare una risposta alla domanda posta.
Io accetto di fare il capoequipe per l’esperienza di pienezza e soddisfazione che ho provato l’anno prima. Fare il capo equipe è una responsabilità, perché devi gestire i contatti con il direttore del supermercato, spiegargli il gesto della colletta alimentare se non lo conosce, portare i volantini pubblicitari e accertarsi che il supermercato li affigga all’ingresso, prendere accordi sulla disposizione delle aree destinate allo scatolamento degli alimenti, il loro stoccaggio, il parcheggio del camion per il trasporto dei pallet, organizzare i turni dei volontari, assegnare loro i compiti, mantenere le public relations con i donatori……
Per quanto mi riguarda la giornata della colletta alimentare inizia al mattino alle 8 e finisce 30 minuti circa dopo la chiusura del centro commerciale.
La sera torno a casa, fisicamente stanco, psicologicamente cotto ma umanamente lieto. L’esperienza che faccio è quindi di una letizia e di una serenità che superano la stanchezza e alleviano qualche incazzatura. Ogni anno per me è una sorpresa, non c’è nulla di scontato e di conosciuto, salvo verificare ogni anno che tra i supermercati della zona, il Carrefour dove sono io arriva sempre terzo nella classifica di chi ha raccolto di più. A volte solo per qualche chilo, ma sempre medaglia di bronzo. Il primo posto è inarrivabile. Al secondo ci stiamo avvicinando!!
Naturalmente questo è un aspetto giocoso della vicenda!!
Nel giorno della colletta faccio esperienza di cosa voglia dire imbattersi in volti lieti e grati che ti vogliono bene. Lo vedo attraverso i volti dei volontari che mi aiutano e dei donatori che ci danno il sacchetto pieno che, chi poco chi molto, sono di una generosità che a priori è da non credere. Quante volte, dando il sacchetto e guardando in faccia la persona penso “questo lo butta” e invece un’ora dopo lo vedo arrivare con il carrello pieno di alimenti per l’infanzia o di pasta. Non solo, mi chiede anche come rimanere in contatto con l’associazione Banco Alimentare. Quante volte la libertà dei volontari non si è limitata al turno scelto ma è stato l’inizio di un rapporto che continua nel tempo. Quest’anno mi ha colpito in modo particolare un amico, che non conoscevo fino ad allora, il quale è arrivato la mattina con il figlio di 10 anni. Il figlio dava le buste insieme ad altri, il padre ci aiutava nel retro a inscatolare la roba. Abbiamo iniziato a parlare del più e del meno, e quando tra i vari argomenti ha capito che ero un po’ preoccupato perché un turno pomeridiano era particolarmente sguarnito di volontari si è mostrato dispiaciuto e rincuorandomi ha detto che se riusciva sarebbe tornato. E così è stato con mio grande stupore. E’ tornato, si è rimesso a inscatolare, caricare i cartoni sulla bilancia e pesarli, ed è andato avanti così per altre tre ore. Alla fine era davvero contento.
Io commosso per la semplicità con cui ha partecipato.
Al gesto della colletta alimentare, come volontari partecipano tutti, uomini, donne, nonni, adulti e ragazzi, anche i miei figli che seppur piccoli aderiscono con gioia e semplicità e si mettono in moto e non si lasciano scappare un solo cliente del centro commerciale. Di pomeriggio sono arrivati circa quaranta ragazzi delle scuole medie, guidate dalle loro maestre: “I cavalieri del Graal”. Superato il primo momento di confusione e di panico, perché tutti volevano fare tutto e niente, una volta che ho assegnato loro i compiti, sono partiti come saette, le ragazze distribuendosi a macchia d’olio agli ingressi del supermercato, i ragazzi nel “retro bottega” a preparare scatole, riempirle di alimenti, chiuderle, caricarle sulla bilancia e quindi sui pallet.
Uno spettacolo da vedere e godere!!
Quest’anno la grossa novità è stato il fotografo, nel senso che uno di noi, il mio amico Mario che ho conosciuto sabato per la prima volta, ha portato con sé la macchina fotografica e ha immortalato degli “uomini in azione”. Lo ringrazio, e le foto che allego sono sue.
In tutto questo passaggio di volontari, incontri con i donatori, chiacchiere tra di noi, scherzi e battute, abbiamo anche riempito le scatole di alimenti, e quest’anno al Carrefour abbiamo raccolto oltre 8100 kg. In tutta Italia, la Colletta Alimentare ha raccolto più di 8600 tonnellate di cibo alimentare, segno che la generosità delle persone è stata immensa e che la carità continua ad essere più forte della crisi.











venerdì 4 dicembre 2009

Le avventure del dott. Sapuppo n.2

Agatino Sapuppo, da quasi tre mesi non svolge più la mansione di promoter commerciale ma, a seguito di una riorganizzazione aziendale è stato inserito nel team dei proposals, ovvero dei preventivisti, all’interno della business unit “Terza età”.
E’ un ruolo svolto all’interno dell’azienda, non più in giro per clienti, dove la sedia e il computer sono i fedeli compagni di giornata.
Questo nuovo ruolo è stato mal digerito dal dott. Sapuppo, perché non si è trattato di una promozione, bensì di un semplice cambio di mansione….una linea perfettamente orizzontale. Invece Sapuppo, negli ultimi anni aveva lavorato, e duro, per creare rapporti che gli permettessero una promozione ad area manager del sud Italia. Questo nuovo ruolo desiderato gli avrebbe permesso di ristabilirsi nella sua amata Sicilia, magari a San Giovanni Galermo, ridente cittadina alle pendici dell’Etna, dove Agatino Sapuppo era nato e vissuto fino al giorno della laurea. Amante della natura, aveva trasformato il terreno antistante casa sua in un giardino botanico, dove il roseto attorniato da una siepe di alloro era il suo punto forte. Lo aveva sempre coltivato con cura, e sistematicamente, ogni volta che usciva con una donna diversa, tagliava la rosa più bella per regalarla alla nuova dama.
La notizia dello spostamento di ruolo aveva rattristato lo stato d’animo del dott. Sapuppo, che ormai parlava a fatica, aveva il volto sempre grugnito e incapace di ridere e scherzare rispondeva con acidità alle battute dei colleghi. Qualche tic con la bocca aveva preso il posto dei sorrisi che mostravano i denti bianchi, il suo look era diventato trascurato e difficilmente lo si vedeva restare in ufficio oltre il normale orario di lavoro.
Con il nuovo ruolo, il dott. Sapuppo non dipendeva più dallo storico direttore della business unit “Body care”, ma dall’area manager del sud Italia, un certo Ing. Pennetta. Il rapporto tra i due era di amore-odio: amore, perché comunque c’era una stima professionale per l’Ing. Pennetta, di odio perché Sapuppo voleva essere al posto di Pennetta.
Non passava giorno che i due non litigassero: l’ing. Pennetta, piemontese di origine e di testa, quando si inalberava dava del terrone al dott. Sapuppo, il quale, non tardava ad apostrofare come polentone il suo capo accompagnando il tutto con epitaffi degno di un Domenico Tempio (noto scrittore dialettale catanese di fine settecento) dei giorni nostri.
La mattina del 2 ottobre inizia nel peggiore dei modi: Sapuppo riceve una telefonata, di un agente di zona della Calabria, che risolve in maniera professionale. Giunto in ufficio l’ing. Pennetta, Sapuppo riferisce della telefonata e della risoluzione del problema. Evidentemente Pennetta, femminaro come Sapuppo, la notte precedente l’aveva passata in compagnia di qualche femmina che oltre a stremarlo fisicamente gli aveva devitalizzato i pochi neuroni maschili a disposizione. Sta di fatto che la sinapsi in quel momento avvenne con molta difficoltà, e la risposta di Pennetta fu: “Picio, hai già parlato troppo, prendi la mail e girala all’agente!”.
La risposta non si fece attendere: “Io non giro niente se tu prima non mi ascolti fino alla fine…”
“No, tu giri la mail e basta!”
“No, io non la giro!”
“No, tu fai come dico io…”…”No, io non ti ascolto”….”No tu mi ascolti, sennò…”…”Parla pure tanto non ti sento….”.
I due andarono avanti così per quasi dieci minuti, e i colleghi sempre più impazienti pur di non sentirli litigare erano disposti a inviare loro la mail.
Finalmente scese la calma, ma è la quiete che precede il temporale.
Alle 10 del 2 ottobre, la sig.ra Fumagalli, chiama i colleghi della divisione, una ventina da persone, per festeggiare con loro il suo compleanno, in occasione del quale offriva torte e croissants.
Il Pennetta, come sempre circondato dalle sue colleghe (mai un uomo stava con lui senza che ci fosse una presenza femminile!), e come sempre spavaldo, rivolgendosi a Sapuppo: “Terry, dopo la tregua ricordati di inviare la mail!”.
La gioia e la serenità di quel momento conviviale venne interrotta da un improvviso boato, tremendo, violento, pauroso che fece saltare dallo spavento i colleghi.
A Sapuppo si era cortocircuitato l’unico neurone in funzione: con la mano destra aveva sferrato un forte pugno alla mensola di legno posta a lato della finestra, e il rumore aveva allarmato anche i colleghi del secondo piano. Nessuno sul momento riuscì a capire cosa fosse successo, videro solo che Sapuppo era diventato rosso come un pomodoro e fumava da tutti i pori, quasi al limite dell’infarto.
Lo stordimento fu generale, come colpiti da paresi fulminante, tutti rimasero impassibili di fronte a quello spettacolo orrendo. Anche il direttore della business unit rimase attonito e preferì andare via per non assistere ancora a quella situazione tragi-comica.
Passato l’istante, tutti ripresero a fare festa.
Intanto, la mano di Sapuppo cresceva in volume e dolore: alle due del pomeriggio pareva più una zampogna che una mano. Il guantone da baseball avrebbe faticato ad entrare, quello da pugile si sarebbe incastrato.
Quel povero squilibrato di Sapuppo, nel dare il pugno alla mensola aveva colpito il montante sottostante, grazie al quale la tavola non si era rotta, ma che aveva fracassato la mano del nuovo malato di mente.
L’esito della visita al pronto soccorso fu: rottura del 5° metacarpo con conseguenza lacerazione del mignolo e anulare. Pertanto, si rese necessario intervenire per inserire nella mano delle placche metalliche che consentissero un recupero certo delle funzionalità della mano in un tempo assai breve. Adesso quello psicolabile di Sapuppo doveva stare in malattia per un mese.

I colleghi per ricordarsi di lui, hanno collocato sulla mensola, nel punto dell’impatto, una targa con il seguente epitaffio: “Qui pose il suo forte pugno il nostro Muzio Scevola dalla Terronia”.
Qualcun altro si è spinto oltre: “Si vantava di averlo sempre duro, ci chiediamo che cosa!”.
Una collega, molto intima, ha confessato: “Fragile sopra, molle sotto!”.
I giornali hanno scritto:
Il Corriere della Sera: “Per superare la crisi, occorre dare una mano a tutti!”
La Repubblica: “Il Presidente del Consiglio dichiara: una mano per tutte le donne? Sempre”
La Padania: “Il Sud batte i pugni sul tavolo, ma il Nord resiste”
Il Giornale della Brianza: “Come indossare i pannolini con una mano”
The Wall Street Journal: “Strong hand”
Focus: “One hand, five fingers”
El Pais: “Mano dura”
Bild: “Eiserner Faust gegen den Unterdrücker“
Le Figaro:“Le poing de fer de travailleurs”

domenica 29 novembre 2009

Film in spagnolo n.3

TODO EL BIEN DEL MUNDO
di Alejandro Agresti

Una donna scopre dopo più di venti anni che suo marito che credeva morto è invece vivo e abita in un piccolo paese del sud dell’Argentina. I due si erano conosciuti da giovani frequentando un movimento rivoluzionario e grazie all’attività politica svolta insieme si erano innamorati e avevano deciso di sposarsi. Ma presto l’uomo, spinto dai suoi ideali rivoluzionari aveva lasciato la famiglia alla ricerca di un mondo migliore, un mondo più giusto. Dopo aver toccato però con mano il fallimento degli ideali decide di scappare e di rifugiarsi in un piccolo paese dove inizia a lavorare come panettiere.
L’uomo è un personaggio noto in paese, tutti lo stimano, ma nessuno, compresi i suoi migliori amici, sanno del suo passato.
La moglie, quando scopre dove vive il marito si mette in viaggio con la figlia ventenne, e con l’altra figlia avuta da una relazione successiva. Insieme tenteranno di riallacciare un rapporto con il marito e padre e gli offriranno la possibilità di ricongiungersi con la famiglia.
Il film, a mio modo di vedere, descrive in maniera appassionante e chiara, con l’aiuto delle colonne sonore, il dramma della libertà di un uomo costretto a riconoscere il fallimento dei suoi progetti. In una scena, l’uomo confessa di aver lottato per un suo ideale di felicità fatto di un mondo più giusto e migliore e che invece scopre di avere tanta paura e di rimanere sempre più solo.
La figura della moglie è fondamentale, un muro portante, perchè anche dopo venti anni, vede in suo marito l’uomo con cui ha fatto una scelta di vita e pertanto si batte per riportarlo a sé. Dallo sguardo della donna traspare l’amore che ella prova per l’uomo, nonostante gli anni e le vicende trascorse.
E’ affascinante la figura della figlia, che non ha mai conosciuto il padre, perché quando è andato via la mamma era ancora incinta di lei. Sonia non sa cosa voglia dire avere un padre, ma attraverso la madre sa quanto egli sia comunque importante e pertanto lo desidera. Si mette in moto anche lei per conquistarlo e gli scrive una lettera appassionante, semplice ma toccante.
E’ la goccia che fa traboccare il vaso: l’uomo, evidentemente toccato nel profondo del suo cuore, riconosce di avere sbagliato tutto e sceglie di rimettersi in gioco.
Personalmente sono certo che il cuore dell’uomo non tradisce mai, e che l’uomo quando lo asseconda persegue la sua felicità.
Il film si conclude con un lieto fine, tutt’altro che la tradizionale americanata: il padre raggiunge la famiglia nel bar in cui sta cenando, e il primo piano della madre, sbalordita e spiazzata di fronte alla visione dell’uomo, descrive chiaramente la gioia per un marito ritrovato, un padre conquistato, un uomo che ha scelto di ricominciare.

mercoledì 18 novembre 2009

Libri letti n.4

IO SONO L’ARGILLA
di Chaim Potok

Il romanzo è ambientato durante la Guerra di Corea, quando i cinesi e l’esercito del nord invadono e dilagano a sud. La storia narra la fuga dal loro villaggio di un vecchio contadino e di sua moglie che, durante il cammino, si imbattono casualmente in un ragazzino privo di sensi e coperto di sangue abbandonato lungo il fossato a margine della strada. Da quell’incontro, insperato e indesiderato, inizia un cammino che porta i tre protagonisti ad affrontare insieme il dramma della fuga e gli orrori della guerra. Emerge in maniera forte, la differenza di carattere tra il vecchio, scettico e diffidente verso il ragazzo, l’istintività materna della donna che accudisce il giovane come fosse un figlio e la natura buona del ragazzo che si prende cura e accompagna con generosità i due vecchi che lo hanno salvato. L’odissea che affronta questa “famiglia” di profughi delinea anche il contrasto tra l’universo contadino e la devastazione prodotta dalle moderne tecnologie, quasi a contrapporre la differenza tra la cultura spirituale orientale e la cultura materialista dell’occidente.
La componente spirituale è il punto di forza che guida i due vecchi, soprattutto la donna, che in molte occasioni evoca gli spiriti buoni della terra e del cielo, gli spiriti buoni della valli e delle pianure tanto che spesso si scopre a canticchiare una canzone che aveva imparato da piccola: “ Have thine own way Lord have thine own way thou art the potter I am the clay” (Fa a modo tuo Signore a modo tuo io sono l’argilla e tu il vasaio).

martedì 3 novembre 2009

Ascensione sulla Grignetta

Dopo il Grignone abbiamo raggiunto la Grignetta. Così, avendo conquistato le vette dei monti simbolo della Lombardia, io e il mio amico Ricky, friulano, abbiamo ottenuto a tutti gli effetti la “cittadinanza” lombarda. Siamo dei lumbard di adozione.
Il titolo ci è stato conferito da Renzo, nostra guida nelle scalate, lumbard da generazioni.
Sabato siamo partiti alle 6 del mattino per fare in modo che si arrivasse al Rifugio Porta, punto di partenza della passeggiata, entro le 8.
La giornata era prevista assolata con temperature calde: forse, così è stato in tutta la provincia di Milano e Lecco, salvo sulla Grignetta, dove la nuvola dell’impiegato di nota tradizione fantozziana ci ha perseguitato.
La nostra passeggiata si è svolta in una giornata assai fresca, a tratti fredda, con molte nuvole grigie che non ci hanno concesso di goderci il panorama circostante.

La nostra passeggiata si è svolta in una giornata assai fresca, a tratti fredda, con molte nuvole grigie che non ci hanno concesso di goderci il panorama circostante.
Abbiamo percorso i sentieri 8 e 11, noti come della Direttissima, passando per la Valle Scarettone. Il tragitto si snoda lungo le pareti della Grignetta mediante una ferrata attrezzata di catene, funi e scale, poiché molti passaggi sono esposti, e in qualcuno è il caso di non guardare sotto, ma solo la parete che hai davanti.
Io e Ricky ci siamo dotati di casco, addirittura lui aveva l’imbracatura…non si sa mai!
L’approccio alla Direttissima non è dei più morbidi, poiché si comincia con una scala di ferro di circa 30 gradini con i primi 10 pioli inclinati verso l’esterno. Superato questo primo ostacolo, soprattutto di carattere psicologico, il resto del cammino è arduo, dove contano buona resistenza fisica ed esperienza, però affascinante all’inverosimile, e comunque accessibile a molti.


(Renzo affronta la prima gola stretta)



(Ricky e Michele alle prese con le prime catene)





(tanto per cominciare una scala)













(sapete quanto è alto lo strapiombo?)



Dopo 3 ore di cammino, qualche botta sulle ginocchia e alcuni sassi scansati per miracolo, siamo arrivati in cima alla Grignetta, dove è ubicato un bivacco davvero strano: sembra una navicella spaziale, il LEM dell’allunaggio, d’acciaio fuori rivestita di legno all’interno. Siamo rimasti in cima per circa 45 min. nella speranza che il sole fosse clemente con noi. E invece no, stavolta, tranne uno sprazzo appena giunti in vetta, siamo rimasti avvolti dai nuvoloni, che hanno reso l’ambiente ancora più particolare: sembravamo sospesi nel vuoto.
Al ritorno abbiamo deciso di intraprendere un percorso più tranquillo, definito da noi il sentiero dei pigri.
Di ritorno a casa, il sole si è ripresentato e ci ha riscaldati, quasi come a dire di non perdere la speranza che la prossima volta andrà meglio. Anche per questo, già in macchina, pensavamo alla prossima meta.