Una decina di giorni fa sono stato invitato a partecipare ad un incontro organizzato dal MIP, la business school del Politecnico di Milano. In quanto associato ad Alumni MIP, avendo fatto l’MBA, ho aderito volentieri.
Il titolo dell’incontro era “Come farsi cacciare dai cacciatori di teste”, presentazione del libro scritto a quattro mani da un head hunter e un giornalista, relatori della serata, edito dal Sole 24 Ore.
L’argomento era assai intrigante e destava molta curiosità, anche in chi, come me, non sta cercando una alternativa di lavoro.
L’aula del Dipartimento di Ingegneria Gestionale, nella nuova sede di Milano Bovisa, era piena, segno che il tema trattato è di attualità e riscuote molto interesse in coloro che per scelta hanno intrapreso un certo percorso di studi nella speranza che la carriera professionale dia piene soddisfazioni.
La presentazione del libro è stata piuttosto esaustiva, ha offerto molti spunti di riflessione ma anche qualche perplessità.
Due sono i punti sviluppati da uno dei due relatori, sulla base della sua lunga esperienza professionale, che mi hanno lasciato di stucco:
- essere ingegneri (molti dei presenti in aula erano ingegneri) e avere fatto un master (tutti i presenti hanno fatto un master o un corso di specializzazione del MIP) non sono elementi necessari per essere ricercati dai cacciatori di teste o diventare manager. Anzi, i migliori manager attualmente in circolazione sono laureati in lettere e filosofia. Ora, io sono ingegnere e masterizzato, quindi quanto detto dall’head hunter è stata per me una pesante provocazione. Inoltre il MIP, che fa di tutto per pubblicizzare i Master che organizza, a mio avviso, non è uscito da questo intervento in maniera positiva.
- dopo i primi 10 anni di esperienza lavorativa, le competenze professionali contano poco, perché si da per scontato che uno prima o poi riesca a fare il lavoro, ma contano le relazioni (opinione che condivido!) e soprattutto la capacità di essere assertivi e disponibili verso i superiori e accondiscendenti alla loro visione del lavoro. Nel momento in cui diceva queste parole ho avuto (e non solo io!) come un sussulto, perché mi è parso di capire che per andare avanti è necessario essere….lecchini!!!....o usate un altro termine che volete! Questa mia impressione è stata condivisa da un paio di colleghi/amici presenti all’incontro con cui mi sono confrontato nei giorni successivi.
Ma, invece, la cosa che più mi ha colpito nell’intervento dell’head hunter è stato quando parlando della frenesia con cui molti cercano di cambiare lavoro, dello stress in cui tanti cadono nella ricerca di uno nuovo e dei CV che periodicamente riceve dalle stesse persone senza che in loro ci siano cambiamenti nell’attività professionale, ha citato una frase che usavano gli antichi contadini: “I frutti si raccolgono quando sono maturi”.
Come dire, è inutile affannarsi per ognuno c’è un tempo giusto!!
La frase mi ha sconvolto, perché mi sono ricordato di averla sentita dire tante volte dai miei nonni, che erano contadini, i quali lavoravano sodo, seminavano la loro terra, la coltivavano, la aravano, la irrigavano, la proteggevano dalle erbe malvagie e nel frattempo, con serenità, aspettavano che si compisse la loro opera.
Io, che talvolta per presunzione o per ignoranza ascoltavo con superficialità le parole sagge dei miei nonni, mi riscopro da un po’ di tempo a questa parte a ricercare nella memoria i momenti vissuti con loro e quanto della tradizione e delle origini mi hanno tramandato.
La frase, citata dal cacciatore di teste, mi ha colpito perché dentro un concetto laico, semplice, si cela un significato molto religioso: riconoscere che siamo fatti da un Altro, che, come citato nel Vangelo, sono contati tutti i capelli che abbiamo in testa.
Questa frase, che l’head hunter ha citato più volte, ha generato in me molta serenità, non perché mi ha deresponsabilizzato nell’attività di ricerca di un nuovo lavoro (alternativa che non sto per adesso cercando!), ma perché mi ha ricondotto ad una dimensione più razionale.
A me (a chi cerca lavoro in questo caso!) tocca seminare e coltivare la mia “terra” (dove terra in questo caso ha un significato molto ampio!), curarla, proteggerla e renderla fertile: ci sarà un momento in cui potrò raccogliere i frutti del lavoro, e si sa, il raccolto non sempre è come se lo aspetta il contadino. A volte è più scarso, ma altre volte è più abbondante del previsto.
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