giovedì 22 dicembre 2011
lunedì 19 dicembre 2011
PUNTI IN COMUNE - 15
“…Per un manager, la disciplina non può che essere il proprio pane quotidiano. Anche per evitare di incontrare quelle che Gregorio Magno, nel VI secolo, aveva definito le cinque figlie della gola: sciocca allegria, scurrilità, perdita della purezza, multiloquio e ottundimento dei sensi …..”
Enrico Cerni – Dante per i manager, pag. 105 – Ed. Gruppo 24ore)
Enrico Cerni – Dante per i manager, pag. 105 – Ed. Gruppo 24ore)
venerdì 2 dicembre 2011
PUNTI IN COMUNE - 14
“….Chi dirige un gruppo di persone o un’azienda sa che aver smarrito la diritta via può essere causato da due tipi di mancanze. La più grave per un manager? L’assenza di una meta, ossia di un obiettivo chiaro e delineato cui protendere (di una vision). La lucidità (lucidità è lux, luce, opposta all’oscurità della selva) nel ri-conoscere gli obiettivi da raggiungere è la chiave di volta di qualunque posizione di guida. La seconda possibile mancanza, da guardare con maggiore benevolenza rispetto alla prima ma ugualmente minacciosa, è la non conoscenza del percorso per raggiungere gli obiettivi noti. In questo contesto, la meta è conosciuta, delineato il punto di arrivo; ignoto resta come arrivare fino a lì, dove imboccare la strada che conduce alla soluzione, quale sentiero seguire….”
(Enrico Cerni – Dante per i manager, pag. 36 – Ed. Gruppo 24ore)
In merito alla prima “mancanza” sono molto negativo: trovare un manager che abbia vision, che sappia guardare oltre la punta del proprio naso (tradotto, oltre gli obiettivi personali a brevissimo termine!!) è assai difficile. Sono mosche bianche, e quei pochi che conosco hanno uno sguardo umano e professionale fuori dal normale. La seconda “mancanza” è, secondo me, più drammatica. Riconoscere la meta ma non sapere la via da percorrere per raggiungerla è disperante. Occorre affidarsi a qualcuno che conosce la via, umilmente mettersi al suo fianco e soprattutto imparare a guardare dove costui guarda. A questo punto, non solo si risolve la seconda mancanza, ma si affronta anche la prima.
(Enrico Cerni – Dante per i manager, pag. 36 – Ed. Gruppo 24ore)
In merito alla prima “mancanza” sono molto negativo: trovare un manager che abbia vision, che sappia guardare oltre la punta del proprio naso (tradotto, oltre gli obiettivi personali a brevissimo termine!!) è assai difficile. Sono mosche bianche, e quei pochi che conosco hanno uno sguardo umano e professionale fuori dal normale. La seconda “mancanza” è, secondo me, più drammatica. Riconoscere la meta ma non sapere la via da percorrere per raggiungerla è disperante. Occorre affidarsi a qualcuno che conosce la via, umilmente mettersi al suo fianco e soprattutto imparare a guardare dove costui guarda. A questo punto, non solo si risolve la seconda mancanza, ma si affronta anche la prima.
martedì 22 novembre 2011
PUNTI IN COMUNE - 13
“…Il primo amore, quello naturale, non sbaglia mai, è infallibile perché opera diretta di Dio. Il secondo tipo d’amore, quello d’elezione, proprio perché implica la volontà umana, è necessariamente soggetto all’errore e al vizio. L’amore d’animo può indurre in errore in tre maniere: per malo obietto, quando si rivolge cioè a un oggetto indegno e fa desiderare il male del prossimo (superbia, invidia, ira); per poco di vigore, quando è poco ardente (come nel caso dell’accidia); per troppo vigore, quando è troppo ardente, in quanto ama senza misura i beni finiti e imperfetti (come nel caso dell’avarizia, gola, lussuria). Ed è evidente che anche nel business gli insuccessi possono essere causati dall’inseguimento di un obiettivo sbagliato o irrangiungibile (malo obietto), per spinta o investimenti insufficienti (poco di vigore) o addirittura per eccesso di risorse messe in gioco, che portano a crisi di liquidità (troppo di vigore)….”
(Enrico Cerni – Dante per i manager, pag. 78 – Ed. Gruppo 24ore)
(Enrico Cerni – Dante per i manager, pag. 78 – Ed. Gruppo 24ore)
venerdì 28 ottobre 2011
PUNTI IN COMUNE - 12
<< Lionel Terray ha chiamato gli alpinisti “i conquistatori dell’inutile”. Io invece ormai credo che gli alpinisti siano dei saggi che restituiscono un po’ del loro equilibrio al mondo. Il nostro mondo è comodo, sicuro, esplorato. Gli alpinisti, in mezzo alla massa che, intorpidita dalle nebbie della propria incoscienza, si lascia andare verso la sua rovina, tentano di collocare delle antibussole. In un mondo che rimuove la malattia e la morte, essi cercano la sfida con la malattia e con la morte. Al posto delle auto essi usano le gambe; senza filtri, senza schemi televisivi, i loro occhi e le loro orecchie colgono la realtà del mondo; sostituiscono con la solitudine l’angustia delle metropoli. Gli alpinisti sono conquistatori dell’utile>> (Uschi Demeter – moglie di Reinhold Messner)
Penso che in una società sempre più omologata e conformista, in cui successo, benessere, apparenza e piacere sfrenato sono le parole chiavi, bisogna andare contro corrente perché ci si accorga di altro, del gusto del bello e del vero.
Penso che in una società sempre più omologata e conformista, in cui successo, benessere, apparenza e piacere sfrenato sono le parole chiavi, bisogna andare contro corrente perché ci si accorga di altro, del gusto del bello e del vero.
lunedì 17 ottobre 2011
Gita escursionistica in Val di Cogne
Ho sempre sentito parlare della Val di Cogne come di un paesaggio fantastico, un ambiente naturalistico unico con un microclima tutto particolare. E poi, una vista sul Gran Paradiso davvero paradisiaca. Cima del Gran Paradiso che io ho raggiunto durante gli anni del Poli salendoci da un altro versante.
Purtroppo Cogne è diventato tristemente famoso per il delitto della Franzoni e così nell’immaginario lo sguardo è dirottato alla ricerca della villa degli orrori piuttosto che alla valle.
Anche per me, quando sono entrato in Val di Cogne, il primo istintivo pensiero è stato: chissà dove si trova la villetta. Subito dopo l’incanto delle casette in pietra coi tetti in ardesia, e la vista del Gran Paradiso mi hanno riportato verso una realtà più positiva e affascinante.
La gita, fatta con gli amici della Giovane Montagna di Milano prevedeva una lunga escursione che partendo da Valnontey toccava il rifugio Vittorio Sella, proseguendo in quota, i casolari dell’Herbetet e quindi tornava indietro attraverso il fondovalle. Il percorso è molto lungo ma facilmente accessibile e godibile da tutti, magari fatta a tappe.
La vista sui monti è fantastica, l’incontro con i camosci e gli stambecchi è molto ravvicinato.
Personalmente la vacanza ha acquisito un gusto particolare perché ho avuto modo di confrontarmi per parecchio tempo con un alpinista vero, Renzo Quagliotto, uno che ha fatto cose mirabili, ha aperto molte vie su ghiaccio e che ha scritto qualche libro sulle vie percorse. Un personaggio molto carismatico ma assai umile, che ha avuto modo di conoscere personaggi come Bonatti, Airoldi, Corti, Compagnoni e Lacedelli. Mi ha raccontato che il mondo dell’alpinismo non è solo passione ma anche arrivismo e cattiveria e lui ne ha fatto le spese: alcune vie che lui ha aperto, nella letteratura alpinistica e nelle guide del CAI riportano il nome di qualcun altro che è stato più abile nel farsi intitolare la via. Ma Renzo, come mi ha più volte ripetuto, ha compiuto le sue imprese per una forte passione verso l’arrampicata su ghiaccio, che in lui s’è generata sin da bambino quando in tempo di guerra (la 2° guerra mondiale) la sua mamma portava i figli in montagna per proteggerli dai bombardamenti anglo-americani.
Nelle due ore abbondanti in cui gli sono stato dietro, perché pur avendo settantatre anni era lui il leader e pertanto guidava, ho cercato di carpire ogni suggerimento, ogni indicazione e non perdere un solo passo che compiva per capire come si muoveva.
E’ stato un training!!
E’ una fortuna avere accanto dei maestri e in questi casi è un piacere essere l’alunno.
Siamo ritornati al parcheggio dopo 7 ore di cammino (il dislivello superato era di solo 1000m!) ma sarei rimasto ancora a sentirlo parlare.
Purtroppo Cogne è diventato tristemente famoso per il delitto della Franzoni e così nell’immaginario lo sguardo è dirottato alla ricerca della villa degli orrori piuttosto che alla valle.
Anche per me, quando sono entrato in Val di Cogne, il primo istintivo pensiero è stato: chissà dove si trova la villetta. Subito dopo l’incanto delle casette in pietra coi tetti in ardesia, e la vista del Gran Paradiso mi hanno riportato verso una realtà più positiva e affascinante.
La gita, fatta con gli amici della Giovane Montagna di Milano prevedeva una lunga escursione che partendo da Valnontey toccava il rifugio Vittorio Sella, proseguendo in quota, i casolari dell’Herbetet e quindi tornava indietro attraverso il fondovalle. Il percorso è molto lungo ma facilmente accessibile e godibile da tutti, magari fatta a tappe.
La vista sui monti è fantastica, l’incontro con i camosci e gli stambecchi è molto ravvicinato.
Personalmente la vacanza ha acquisito un gusto particolare perché ho avuto modo di confrontarmi per parecchio tempo con un alpinista vero, Renzo Quagliotto, uno che ha fatto cose mirabili, ha aperto molte vie su ghiaccio e che ha scritto qualche libro sulle vie percorse. Un personaggio molto carismatico ma assai umile, che ha avuto modo di conoscere personaggi come Bonatti, Airoldi, Corti, Compagnoni e Lacedelli. Mi ha raccontato che il mondo dell’alpinismo non è solo passione ma anche arrivismo e cattiveria e lui ne ha fatto le spese: alcune vie che lui ha aperto, nella letteratura alpinistica e nelle guide del CAI riportano il nome di qualcun altro che è stato più abile nel farsi intitolare la via. Ma Renzo, come mi ha più volte ripetuto, ha compiuto le sue imprese per una forte passione verso l’arrampicata su ghiaccio, che in lui s’è generata sin da bambino quando in tempo di guerra (la 2° guerra mondiale) la sua mamma portava i figli in montagna per proteggerli dai bombardamenti anglo-americani.
Nelle due ore abbondanti in cui gli sono stato dietro, perché pur avendo settantatre anni era lui il leader e pertanto guidava, ho cercato di carpire ogni suggerimento, ogni indicazione e non perdere un solo passo che compiva per capire come si muoveva.
E’ stato un training!!
E’ una fortuna avere accanto dei maestri e in questi casi è un piacere essere l’alunno.
Siamo ritornati al parcheggio dopo 7 ore di cammino (il dislivello superato era di solo 1000m!) ma sarei rimasto ancora a sentirlo parlare.
domenica 9 ottobre 2011
Lettera da un amico
Riporto la lettera che ho ricevuto da un amico, che mi ha autorizzato a metterla sul mio blog, di cui mi colpisce la lucidità di giudizio e la semplicità con cui racconta un fatto assai personale.
Caro amico,
due settimane fa mia mamma ha avuto un malore. Un principio di infarto che fortunatamente si è risolto per il meglio: lei è stata brava a riconoscerlo e a chiamare aiuto, ma è stato altrettanto celere l’intervento del 118 che prontamente l’ha trasportata al pronto soccorso dell’ospedale più vicino.
La notizia m’è giunta come un fulmine a ciel sereno, perché mia mamma non ha mai sofferto di nulla, nella nostra famiglia nessuno soffre di cardiopatie, e lei conduce una vita molto regolare. Dopo il primo istante di smarrimento, in cui il conforto della persona che mi ha informato è stato molto paterno ho cercato di riordinare le idee e capire cosa fare. Subito ho contattato i miei fratelli, coi quali abbiamo deciso il “piano di attacco” per stare vicino alla nostra mamma sia in ospedale che successivamente. Prima è andato mio fratello maggiore, medico e quindi più sul “pezzo”, ora tocca a me e la prossima settimana arriva mia sorella.
Ho dovuto attendere tre giorni prima di potere parlare al telefono con mia mamma, tre giorni in cui nonostante le rassicurazioni di mio fratello sul buon decorso post infarto, sentivo una mancanza che mi lasciava frastornato e desideravo ardentemente potere scambiare qualche parola con lei. Poi, finalmente, una mattina mentre ero in riunione è squillato il mio telefono e il numero che compariva era quello di mia mamma: mi sono fiondato fuori dalla sala e ho subito risposto.
Quando ho sentito: “ciao Carlo sono la mamma!” il mio cuore è sussultato di gioia e le lacrime mi sono scese come torrenti in piena. Sono stato capace solo di dire: “come stai?” che lei mi ha risposto “bene, stai tranquillo, il peggio è passato…ci sentiamo nei prossimi giorni”. E ha dovuto riattaccare perché in camera intensiva non è possibile usare telefonini. La tenerezza che ho avvertito in quelle sue poche parole non la sperimentavo da tanto tempo. Come ben sai gli ultimi dieci anni sono stati assai difficili per il nostro rapporto: le differenze di vedute, su tante cose, ci hanno portato prima a litigare di continuo, poi non potendo proseguire su quella strada il nostro rapporto è cominciato a essere di sopportazione e indifferenza, che è ancora peggio!!!
Conclusa la telefonata, per il resto della giornata la mia mente s’è soffermata su quelle poche parole. Tutto il resto era diventato secondario. Ho continuamente pensato a due cose: uno, è stata molto fortunata, due, è stato necessario che mia madre stesse male perché tra noi ci fosse della tenerezza.
La domanda è proprio questa: perché a volte deve succedere una cosa del genere? Era necessario che mia madre stesse male perché tra noi ci fosse tenerezza? Il mio cuore, e la mia debolezza intesa come incapacità a fare un passo indietro in questi anni, ha atteso così tanto prima di battere! Seppur mediocre cristiano, credo molto ai segni: questo per me è stato un segno, il segno della Misericordia di Dio nei confronti miei e di mia madre. Ci ha dato una circostanza, sebbene dolorosa, perché ci ricordassimo chi siamo l’uno per l’altro. Ma ce l’ha data!! Davvero credo che nulla accade per caso, e quanto avvenuto in questi giorni ne è la riprova. Nulla di quanto accaduto negli anni passati con mia madre viene cancellato, ma tutto viene recuperato e acquisisce un significato nuovo: è stato il percorso che abbiamo dovuto compiere perché si arrivasse fin qui.
Oggi tutto ha un senso più chiaro, oggi il disegno ha preso forma.
Domani andrò a trovare mia mamma per una settimana: l’attesa cresce, perché desidero tanto poterla rivedere e abbracciare. Non so cosà farò, non so come la troverò, ma so solo che nulla è più come prima e che da una settimana ho “ritrovato” mia mamma.
Ti saluto, e ti chiedo di pregare per me e per lei perchè lo sguardo e l’abbraccio che ci scambieremo sia segno della gratitudine verso il Signore.
Un abbraccio, il tuo amico Carlo.
Caro amico,
due settimane fa mia mamma ha avuto un malore. Un principio di infarto che fortunatamente si è risolto per il meglio: lei è stata brava a riconoscerlo e a chiamare aiuto, ma è stato altrettanto celere l’intervento del 118 che prontamente l’ha trasportata al pronto soccorso dell’ospedale più vicino.
La notizia m’è giunta come un fulmine a ciel sereno, perché mia mamma non ha mai sofferto di nulla, nella nostra famiglia nessuno soffre di cardiopatie, e lei conduce una vita molto regolare. Dopo il primo istante di smarrimento, in cui il conforto della persona che mi ha informato è stato molto paterno ho cercato di riordinare le idee e capire cosa fare. Subito ho contattato i miei fratelli, coi quali abbiamo deciso il “piano di attacco” per stare vicino alla nostra mamma sia in ospedale che successivamente. Prima è andato mio fratello maggiore, medico e quindi più sul “pezzo”, ora tocca a me e la prossima settimana arriva mia sorella.
Ho dovuto attendere tre giorni prima di potere parlare al telefono con mia mamma, tre giorni in cui nonostante le rassicurazioni di mio fratello sul buon decorso post infarto, sentivo una mancanza che mi lasciava frastornato e desideravo ardentemente potere scambiare qualche parola con lei. Poi, finalmente, una mattina mentre ero in riunione è squillato il mio telefono e il numero che compariva era quello di mia mamma: mi sono fiondato fuori dalla sala e ho subito risposto.
Quando ho sentito: “ciao Carlo sono la mamma!” il mio cuore è sussultato di gioia e le lacrime mi sono scese come torrenti in piena. Sono stato capace solo di dire: “come stai?” che lei mi ha risposto “bene, stai tranquillo, il peggio è passato…ci sentiamo nei prossimi giorni”. E ha dovuto riattaccare perché in camera intensiva non è possibile usare telefonini. La tenerezza che ho avvertito in quelle sue poche parole non la sperimentavo da tanto tempo. Come ben sai gli ultimi dieci anni sono stati assai difficili per il nostro rapporto: le differenze di vedute, su tante cose, ci hanno portato prima a litigare di continuo, poi non potendo proseguire su quella strada il nostro rapporto è cominciato a essere di sopportazione e indifferenza, che è ancora peggio!!!
Conclusa la telefonata, per il resto della giornata la mia mente s’è soffermata su quelle poche parole. Tutto il resto era diventato secondario. Ho continuamente pensato a due cose: uno, è stata molto fortunata, due, è stato necessario che mia madre stesse male perché tra noi ci fosse della tenerezza.
La domanda è proprio questa: perché a volte deve succedere una cosa del genere? Era necessario che mia madre stesse male perché tra noi ci fosse tenerezza? Il mio cuore, e la mia debolezza intesa come incapacità a fare un passo indietro in questi anni, ha atteso così tanto prima di battere! Seppur mediocre cristiano, credo molto ai segni: questo per me è stato un segno, il segno della Misericordia di Dio nei confronti miei e di mia madre. Ci ha dato una circostanza, sebbene dolorosa, perché ci ricordassimo chi siamo l’uno per l’altro. Ma ce l’ha data!! Davvero credo che nulla accade per caso, e quanto avvenuto in questi giorni ne è la riprova. Nulla di quanto accaduto negli anni passati con mia madre viene cancellato, ma tutto viene recuperato e acquisisce un significato nuovo: è stato il percorso che abbiamo dovuto compiere perché si arrivasse fin qui.
Oggi tutto ha un senso più chiaro, oggi il disegno ha preso forma.
Domani andrò a trovare mia mamma per una settimana: l’attesa cresce, perché desidero tanto poterla rivedere e abbracciare. Non so cosà farò, non so come la troverò, ma so solo che nulla è più come prima e che da una settimana ho “ritrovato” mia mamma.
Ti saluto, e ti chiedo di pregare per me e per lei perchè lo sguardo e l’abbraccio che ci scambieremo sia segno della gratitudine verso il Signore.
Un abbraccio, il tuo amico Carlo.
lunedì 3 ottobre 2011
Chicche da una vacanza
Personaggi:
- A il Lord raffinato e semplice
- B la Snob viziata e senza sostanza (moglie del Lord)
- C lo Sfigato incompreso
- D l’Ansiosa rompipalle e insicura (moglie dello Sfigato)
- E il Bancario meridionale e simpatico
- F la Forma dell’acqua (moglie del Bancario)
- G l’Indigeno
- H l’Umile serva di tutti ma schiava di nessuno (moglie dell’Indigeno)
- I la Matrona
- L il Pagghiolo (a Catania si definisce Pagghiolo l’uomo “senza palle”)
Otto personaggi e la loro numerosa prole trascorrono una serena vacanza di due settimane di ferie in una villa con quattro appartamenti, situata in una ridente località balneare della Terronia. Le vacanze, soprattutto per i bimbi, sono state vissute all’insegna dei giochi, del riposo, della compagnia e della goduria gastronomica. Ma sono state vacanze anche accese negli animi e talvolta faticose nei rapporti.
D’altronde con i personaggi in gioco era il minimo!
Ecco alcuni brevi passaggi “più critici”.
Dopo 15 min dall’arrivo.
L: Zia, arrivanu i clienti. Su pronti l’appartamenti?
I: Tri su pronti, u quartu ‘ndo pomeriggiu doppu pranzu
L: Fozza zia, ca cci su tanti picciriddi ca su stanchi
I: Matri mia! Quanti su?
L: tri ppi ogni famigghia!
I: Comu tri, m’aviutu dittu massimu dui!
L: Vabbè, dui o tri cchi ccangia?
Dopo 25 min dall’arrivo
I: nei servizi non sono compresi: la lavatrice, extra, e l’aria condizionata!
D: come la lavatrice no?
H: Signora sta scherzando! Abbiamo affittato da suo nipote la casa con la lavatrice inclusa
I: Ma statu schizzannu! Ppi ogni lavata ci vonu 5 euro?
B: Quanto? Ma lei è matta?
H: Signora, mi spiace, ma suo nipote l’ha inclusa e noi la vogliamo.
D: Signora, ci fornisca la lavatrice, mi sento male. Svengo all’idea di dovere lavare a mano. Io faccio almeno 2 lavate al giorno!
I: Quantu? Ma quantu mi custati di energia!
L: Zia, ci penso io! Tu garantisci la lavatrice, poi i conti ce li facciamo noi
I: Nun si fa accussì a zia!
D: Grazie signora, io stavo svendendo davvero!!!
Dopo 4 ore
G: Pronto, mi scusi se la disturbo, ma abbiamo dei problemi con il frigo. In due abitazioni non funzionano, non raffreddano!
L: in che senso non raffreddano?
G: Nel senso che non raffreddano. Il freezer funziona come un frigo e il frigo non raffredda.
L: ma non è possibile, lì ho accesi io ieri
G: Non metto in discussione quando li abbia accesi, ma purtroppo in due abitazioni rischiamo di buttare la spesa con i latticini e i congelati.
L: Può essere che non raffreddi! Di cosa lo avete caricato il frigo? Quanta roba avete messo?
G: Mi scusi, ma perché il frigo raffredda in funzione del tipo di carico? La capacità refrigerante è indipendente dalla quantità di alimenti!
L: Ma che fa scherza? Se lei carica troppo il frigo può non funzionare.
G: Mi scusi, non capisco il legame, mi può spiegare meglio?
L: Quando voi siete arrivati, l’avete subito riempito?
G: No, perché non avevamo fatto la spesa.
L: E cosa c’avete messo dentro allora?
G: Una bottiglia d’acqua
L: Calda?
G: Dopo un viaggio in macchina non era certo fresca
L: Ecco, la ragione per cui non parte il frigo: deve sapere che se lei mette in frigo una bottiglia di acqua calda il frigo si satura e non parte
G: Si satura cosa?
L: Il sistema di refrigerazione
G: Senta mi sta pigghiannu ppò culu? Ci pari ca cascaiu da naca? Amico, lei ppò cugghiuniari ‘o viddanu ma a mia sti minghiati nun mi cunti, a caputu? Ora, ti muovi e mi fa sistemari u frigoriferu, s’annunca mu fa cangiari. Ma subbitu, no dumani o passadumani!! Fra tri minuti vogghiu sapiri cchi fai!!
Dopo tre minuti
I: Ho saputo che ha parlato con mio nipote. Che problema c’è?
G: Signora, il frigo non funziona
I: E c’è bisogno di dirlo a mio nipote?
G: Signora, noi l’appartamento l’abbiamo preso in affitto da suo nipote è lui il nostro fornitore.
I: Accà nun ci su fornitori. Se avi problemi parrassi ccu mia! O forse Voi del nord ci considerate vostri sudditi e quindi come ignoranti parratti sulu cu chiddi spierti comu a me niputi!!
G: Signora, propriu a mia nordicu nun mu dici. Nascìu e haiu campatu ppi vinticincu anni a 100km di cca.
I: Ah, mi paria!!
Dopo qualche giorno a pranzo
D: Perché non facciamo una grigliata di pesce stasera?
A: Bella idea
G: Ottimo, lo cucino io sulla griglia
B: Ah, io amo la grigliata e poi sono amante delle seppie grigliate
D: Facciamo una grigliata con gamberoni e seppie!
G: Ma la grigliata di pesce non è solo gamberoni e seppie ma anche tante altre varietà…
B: Ok, ma soprattutto seppie e gamberoni
H: Ma le seppie non sono adatte per essere grigliate. Siete sicuri che non avete mangiato totani grigliati?
B: Macchè, io me ne intendo di pesce. Distinguo le seppie dai totani.
H: Vabbè, fate vobis!
A: Andiamo a prendere il pesce?
G:OK
…………
G: Eccovi il pesce, c’è il tonno, le orate, le seppie e i gamberoni
B: Bene!
G: Io preparo la griglia voi pulite le seppie.
D: perché le seppie si puliscono?
G: Perché tu le mangi col nero incorporato?
B: Ma io non ho voglia di pulire il pesce!
D: io sono in vacanza e non mi voglio sporcare
H: Pazienza, ci penso io che so come si fa!
Dopo qualche giorno a cena
G: Gradite un po’ di ricotta col siero?
B: Col?
G: Col siero…è il liquido che si genera nella produzione della ricotta.
D: Ma è buono?
G: Secondo te ti propongo qualcosa di cattivo?.....La ricotta col siero va mangiata in una ciotola, come quella del latte, sciolta nel siero. Se poi ci metti il pane raffermo diventa una squisitezza.
B: Mah!
G: Prova, io da piccolo ci facevo spesso colazione in questo modo. Addirittura, molte volte di sabato o di domenica, con mio nonno o coi miei amici andavamo direttamente nella stalla del casaro, con la nostra ciotola e il pane e mangiavamo lì la ricotta appena fatta.
D: nella stalla?
G: Si perché?
B: Che schifo, nella sporcizia…
G: Eppure siamo cresciuti lo stesso…..
Qualche giorno dopo a cena
F: Mi portate a Taormina? Vorrei andarci prima di tornare a casa
G: Volentieri, ma suggerisco di trascorrere tutta la giornata fuori porta visto le distanze.
E: Ma è necessario?
F: Si, mi hai promesso di portarmi!
D: Secondo me se ne può fare a meno
C: Ma scusa dicono tutti che è un gioiello!
D: Scordatelo, noi non ci andiamo!
C: Perché?
D: Perché è lontano, perché abbiamo i bimbi piccoli, perché fa caldo, perché non sappiamo dove mangiare, perché non ho voglia di prendere ancora la macchina, perché mi piace stare sulla spiaggia, perché ci sarà confusione, perché sarà un casino posteggiare e poi non abbiamo soldi per girare……
E: Vediamo se abbiamo tempo la prossima settimana
Qualche giorno dopo in spiaggia in un oasi naturalistica
G: Vi siete accorti della strada che abbiamo percorso?
A: Paesaggio stupendo
G: Abbiamo attraversato campi di mandorle, campi di grano, agrumeti e vigneti….uno spettacolo!
B: Mi sono accorto solo che la strada era dissestata!
Quanto sopra descritto ha un valore prettamente ironico, è’ stata, volutamente, l’esaltazione di alcuni difetti che ognuno di noi ha e che ha costituito il “lievito” dei rapporti. Anche per questo la vacanza è risultata unica, ma soprattutto la vacanza è stata molto di più.
- A il Lord raffinato e semplice
- B la Snob viziata e senza sostanza (moglie del Lord)
- C lo Sfigato incompreso
- D l’Ansiosa rompipalle e insicura (moglie dello Sfigato)
- E il Bancario meridionale e simpatico
- F la Forma dell’acqua (moglie del Bancario)
- G l’Indigeno
- H l’Umile serva di tutti ma schiava di nessuno (moglie dell’Indigeno)
- I la Matrona
- L il Pagghiolo (a Catania si definisce Pagghiolo l’uomo “senza palle”)
Otto personaggi e la loro numerosa prole trascorrono una serena vacanza di due settimane di ferie in una villa con quattro appartamenti, situata in una ridente località balneare della Terronia. Le vacanze, soprattutto per i bimbi, sono state vissute all’insegna dei giochi, del riposo, della compagnia e della goduria gastronomica. Ma sono state vacanze anche accese negli animi e talvolta faticose nei rapporti.
D’altronde con i personaggi in gioco era il minimo!
Ecco alcuni brevi passaggi “più critici”.
Dopo 15 min dall’arrivo.
L: Zia, arrivanu i clienti. Su pronti l’appartamenti?
I: Tri su pronti, u quartu ‘ndo pomeriggiu doppu pranzu
L: Fozza zia, ca cci su tanti picciriddi ca su stanchi
I: Matri mia! Quanti su?
L: tri ppi ogni famigghia!
I: Comu tri, m’aviutu dittu massimu dui!
L: Vabbè, dui o tri cchi ccangia?
Dopo 25 min dall’arrivo
I: nei servizi non sono compresi: la lavatrice, extra, e l’aria condizionata!
D: come la lavatrice no?
H: Signora sta scherzando! Abbiamo affittato da suo nipote la casa con la lavatrice inclusa
I: Ma statu schizzannu! Ppi ogni lavata ci vonu 5 euro?
B: Quanto? Ma lei è matta?
H: Signora, mi spiace, ma suo nipote l’ha inclusa e noi la vogliamo.
D: Signora, ci fornisca la lavatrice, mi sento male. Svengo all’idea di dovere lavare a mano. Io faccio almeno 2 lavate al giorno!
I: Quantu? Ma quantu mi custati di energia!
L: Zia, ci penso io! Tu garantisci la lavatrice, poi i conti ce li facciamo noi
I: Nun si fa accussì a zia!
D: Grazie signora, io stavo svendendo davvero!!!
Dopo 4 ore
G: Pronto, mi scusi se la disturbo, ma abbiamo dei problemi con il frigo. In due abitazioni non funzionano, non raffreddano!
L: in che senso non raffreddano?
G: Nel senso che non raffreddano. Il freezer funziona come un frigo e il frigo non raffredda.
L: ma non è possibile, lì ho accesi io ieri
G: Non metto in discussione quando li abbia accesi, ma purtroppo in due abitazioni rischiamo di buttare la spesa con i latticini e i congelati.
L: Può essere che non raffreddi! Di cosa lo avete caricato il frigo? Quanta roba avete messo?
G: Mi scusi, ma perché il frigo raffredda in funzione del tipo di carico? La capacità refrigerante è indipendente dalla quantità di alimenti!
L: Ma che fa scherza? Se lei carica troppo il frigo può non funzionare.
G: Mi scusi, non capisco il legame, mi può spiegare meglio?
L: Quando voi siete arrivati, l’avete subito riempito?
G: No, perché non avevamo fatto la spesa.
L: E cosa c’avete messo dentro allora?
G: Una bottiglia d’acqua
L: Calda?
G: Dopo un viaggio in macchina non era certo fresca
L: Ecco, la ragione per cui non parte il frigo: deve sapere che se lei mette in frigo una bottiglia di acqua calda il frigo si satura e non parte
G: Si satura cosa?
L: Il sistema di refrigerazione
G: Senta mi sta pigghiannu ppò culu? Ci pari ca cascaiu da naca? Amico, lei ppò cugghiuniari ‘o viddanu ma a mia sti minghiati nun mi cunti, a caputu? Ora, ti muovi e mi fa sistemari u frigoriferu, s’annunca mu fa cangiari. Ma subbitu, no dumani o passadumani!! Fra tri minuti vogghiu sapiri cchi fai!!
Dopo tre minuti
I: Ho saputo che ha parlato con mio nipote. Che problema c’è?
G: Signora, il frigo non funziona
I: E c’è bisogno di dirlo a mio nipote?
G: Signora, noi l’appartamento l’abbiamo preso in affitto da suo nipote è lui il nostro fornitore.
I: Accà nun ci su fornitori. Se avi problemi parrassi ccu mia! O forse Voi del nord ci considerate vostri sudditi e quindi come ignoranti parratti sulu cu chiddi spierti comu a me niputi!!
G: Signora, propriu a mia nordicu nun mu dici. Nascìu e haiu campatu ppi vinticincu anni a 100km di cca.
I: Ah, mi paria!!
Dopo qualche giorno a pranzo
D: Perché non facciamo una grigliata di pesce stasera?
A: Bella idea
G: Ottimo, lo cucino io sulla griglia
B: Ah, io amo la grigliata e poi sono amante delle seppie grigliate
D: Facciamo una grigliata con gamberoni e seppie!
G: Ma la grigliata di pesce non è solo gamberoni e seppie ma anche tante altre varietà…
B: Ok, ma soprattutto seppie e gamberoni
H: Ma le seppie non sono adatte per essere grigliate. Siete sicuri che non avete mangiato totani grigliati?
B: Macchè, io me ne intendo di pesce. Distinguo le seppie dai totani.
H: Vabbè, fate vobis!
A: Andiamo a prendere il pesce?
G:OK
…………
G: Eccovi il pesce, c’è il tonno, le orate, le seppie e i gamberoni
B: Bene!
G: Io preparo la griglia voi pulite le seppie.
D: perché le seppie si puliscono?
G: Perché tu le mangi col nero incorporato?
B: Ma io non ho voglia di pulire il pesce!
D: io sono in vacanza e non mi voglio sporcare
H: Pazienza, ci penso io che so come si fa!
Dopo qualche giorno a cena
G: Gradite un po’ di ricotta col siero?
B: Col?
G: Col siero…è il liquido che si genera nella produzione della ricotta.
D: Ma è buono?
G: Secondo te ti propongo qualcosa di cattivo?.....La ricotta col siero va mangiata in una ciotola, come quella del latte, sciolta nel siero. Se poi ci metti il pane raffermo diventa una squisitezza.
B: Mah!
G: Prova, io da piccolo ci facevo spesso colazione in questo modo. Addirittura, molte volte di sabato o di domenica, con mio nonno o coi miei amici andavamo direttamente nella stalla del casaro, con la nostra ciotola e il pane e mangiavamo lì la ricotta appena fatta.
D: nella stalla?
G: Si perché?
B: Che schifo, nella sporcizia…
G: Eppure siamo cresciuti lo stesso…..
Qualche giorno dopo a cena
F: Mi portate a Taormina? Vorrei andarci prima di tornare a casa
G: Volentieri, ma suggerisco di trascorrere tutta la giornata fuori porta visto le distanze.
E: Ma è necessario?
F: Si, mi hai promesso di portarmi!
D: Secondo me se ne può fare a meno
C: Ma scusa dicono tutti che è un gioiello!
D: Scordatelo, noi non ci andiamo!
C: Perché?
D: Perché è lontano, perché abbiamo i bimbi piccoli, perché fa caldo, perché non sappiamo dove mangiare, perché non ho voglia di prendere ancora la macchina, perché mi piace stare sulla spiaggia, perché ci sarà confusione, perché sarà un casino posteggiare e poi non abbiamo soldi per girare……
E: Vediamo se abbiamo tempo la prossima settimana
Qualche giorno dopo in spiaggia in un oasi naturalistica
G: Vi siete accorti della strada che abbiamo percorso?
A: Paesaggio stupendo
G: Abbiamo attraversato campi di mandorle, campi di grano, agrumeti e vigneti….uno spettacolo!
B: Mi sono accorto solo che la strada era dissestata!
Quanto sopra descritto ha un valore prettamente ironico, è’ stata, volutamente, l’esaltazione di alcuni difetti che ognuno di noi ha e che ha costituito il “lievito” dei rapporti. Anche per questo la vacanza è risultata unica, ma soprattutto la vacanza è stata molto di più.
martedì 6 settembre 2011
Steve Jobs - Siate affamati siate folli
A seguito delle recenti notizie sullo stato di salute di Steve Jobs e del suo abbandono dalla carica di Amministratore Delegato della Apple, cercando su Internet, ho trovato il discorso che ha tenuto agli studenti dell’Università di Stanford nel 2005.
Mi è piaciuto molto, per la schiettezza con cui ha parlato e per lo sguardo vivo e libero che ha sulla sua vita passata, presente e futura. Alcuni passaggi mi hanno particolarmente colpito, e in qualche modo fatto incazzare. Per un motivo molto semplice: leggendo molti commenti apparsi sulla rete circa il discorso di Jobs, il giudizio che ne viene fuori è di ”un grande, un vero uomo, commovente, desidero conoscerlo, il più bel discorso che abbia sentito, certe parole dette da uno che si chiama Steve Jobs assumono un significato che è impossibile ignorare, saggio, chapeaux, un mito……”.
Nulla da dire al riguardo, ma sono certo, in parte per esperienza vissuta, che se lo stesso discorso lo avesse tenuto don Franco Rossi (nome inventato a caso per indicare un sacerdote!) o un cattolico impegnato socialmente, i commenti della massa sarebbero stati: “le solite frasi, un discorso da prete, cosa vuoi che dicesse!”, come dire, sì va bene ma la realtà è un’altra cosa!!
E invece no, non è così! Il discorso che segue è stimolante e provocante (ma potrebbe risultare anche noioso e riluttante a qualcuno) non per colui che l’ha tenuto, ma per quanto è stato detto.
Sono onorato di essere qui con voi oggi, nel giorno della vostra laurea presso una delle migliori università del mondo. Io non mi sono mai laureato. A dir la verità, questa è l’occasione in cui mi sono di più avvicinato ad un conferimento di titolo accademico. Oggi voglio raccontarvi tre episodi della mia vita. Tutto qui, nulla di speciale. Solo tre storie.
La prima storia parla di “unire i puntini”.
Ho abbandonato gli studi al Reed College dopo sei mesi, ma vi sono rimasto come imbucato per altri diciotto mesi, prima di lasciarlo definitivamente. Allora perchè ho smesso?
Tutto è cominciato prima che io nascessi. La mia madre biologica era laureanda ma ragazza-madre, decise perciò di darmi in adozione. Desiderava ardentemente che io fossi adottato da laureati, così tutto fu approntato affinché ciò avvenisse alla mia nascita da parte di un avvocato e di sua moglie. All’ultimo minuto, appena nato, questi ultimi decisero che avrebbero preferito una femminuccia. Così quelli che poi sarebbero diventati i miei “veri” genitori, che allora si trovavano in una lista d’attesa per l’adozione, furono chiamati nel bel mezzo della notte e venne chiesto loro: “Abbiamo un bimbo, un maschietto, ‘non previsto’; volete adottarlo?”. Risposero: “Certamente”. La mia madre biologica venne a sapere successivamente che mia mamma non aveva mai ottenuto la laurea e che mio padre non si era mai diplomato: per questo si rifiutò di firmare i documenti definitivi per l’adozione. Tornò sulla sua decisione solo qualche mese dopo, quando i miei genitori adottivi le promisero che un giorno sarei andato all’università.
Infine, diciassette anni dopo ci andai. Ingenuamente scelsi un’università che era costosa quanto Stanford, così tutti i risparmi dei miei genitori sarebbero stati spesi per la mia istruzione accademica. Dopo sei mesi, non riuscivo a comprenderne il valore: non avevo idea di cosa avrei fatto nella mia vita e non avevo idea di come l’università mi avrebbe aiutato a scoprirlo. Inoltre, come ho detto, stavo spendendo i soldi che i miei genitori avevano risparmiato per tutta la vita, così decisi di abbandonare, avendo fiducia che tutto sarebbe andato bene lo stesso. OK, ero piuttosto terrorizzato all’epoca, ma guardandomi indietro credo sia stata una delle migliori decisioni che abbia mai preso. Nell’istante in cui abbandonai potei smettere di assistere alle lezioni obbligatorie e cominciai a seguire quelle che mi sembravano interessanti.
Non era tutto così romantico al tempo. Non avevo una stanza nel dormitorio, perciò dormivo sul pavimento delle camere dei miei amici; portavo indietro i vuoti delle bottiglie di coca-cola per raccogliere quei cinque cent di deposito che mi avrebbero permesso di comprarmi da mangiare; ogni domenica camminavo per sette miglia attraverso la città per avere l’unico pasto decente nella settimana presso il tempio Hare Krishna. Ma mi piaceva. Gran parte delle cose che trovai sulla mia strada per caso o grazie all’intuizione in quel periodo si sono rivelate inestimabili più avanti. Lasciate che vi faccia un esempio:
il Reed College a quel tempo offriva probabilmente i migliori corsi di calligrafia del paese. Nel campus ogni poster, ogni etichetta su ogni cassetto, erano scritti in splendida calligrafia. Siccome avevo abbandonato i miei studi ‘ufficiali’e pertanto non dovevo seguire le classi da piano studi, decisi di seguire un corso di calligrafia per imparare come riprodurre quanto di bello visto là attorno. Ho imparato dei caratteri serif e sans serif, a come variare la spaziatura tra differenti combinazioni di lettere, e che cosa rende la migliore tipografia così grande. Era bellissimo, antico e così artisticamente delicato che la scienza non avrebbe potuto ‘catturarlo’, e trovavo ciò affascinante.
Nulla di tutto questo sembrava avere speranza di applicazione pratica nella mia vita, ma dieci anni dopo, quando stavamo progettando il primo computer Machintosh, mi tornò utile. Progettammo così il Mac: era il primo computer dalla bella tipografia. Se non avessi abbandonato gli studi, il Mac non avrebbe avuto multipli caratteri e font spazialmente proporzionate. E se Windows non avesse copiato il Mac, nessun personal computer ora le avrebbe. Se non avessi abbandonato, se non fossi incappato in quel corso di calligrafia, i computer oggi non avrebbero quella splendida tipografia che ora possiedono. Certamente non era possibile all’epoca ‘unire i puntini’e avere un quadro di cosa sarebbe successo, ma tutto diventò molto chiaro guardandosi alle spalle dieci anni dopo.
Vi ripeto, non potete sperare di unire i puntini guardando avanti, potete farlo solo guardandovi alle spalle: dovete quindi avere fiducia che, nel futuro, i puntini che ora vi paiono senza senso possano in qualche modo unirsi nel futuro. Dovete credere in qualcosa: il vostro ombelico, il vostro karma, la vostra vita, il vostro destino, chiamatelo come volete...questo approccio non mi ha mai lasciato a terra, e ha fatto la differenza nella mia vita.
La mia seconda storia parla di amore e di perdita.
Fui molto fortunato - ho trovato cosa mi piacesse fare nella vita piuttosto in fretta. Io e Woz fondammo la Apple nel garage dei miei genitori quando avevo appena vent’anni. Abbiamo lavorato duro, e in dieci anni Apple è cresciuta da noi due soli in un garage sino ad una compagnia da due miliardi di dollari con oltre quattromila dipendenti. Avevamo appena rilasciato la nostra migliore creazione - il Macintosh - un anno prima, e avevo appena compiuto trent’anni... quando venni licenziato. Come può una persona essere licenziata da una Società che ha fondato? Beh, quando Apple si sviluppò assumemmo una persona - che pensavamo fosse di grande talento - per dirigere la compagnia con me, e per il primo anno le cose andarono bene. In seguito però le nostre visioni sul futuro cominciarono a divergere finché non ci scontrammo. Quando successe, il nostro Consiglio di Amministrazione si schierò con lui. Così a trent’anni ero a spasso. E in maniera plateale. Ciò che aveva focalizzato la mia intera vita adulta non c’era più, e tutto questo fu devastante.
Non avevo la benché minima idea di cosa avrei fatto, per qualche mese. Sentivo di aver tradito la precedente generazione di imprenditori, che avevo lasciato cadere il testimone che mi era stato passato. Mi incontrai con David Packard e Bob Noyce e provai a scusarmi per aver mandato all’aria tutto così malamente: era stato un vero fallimento pubblico, e arrivai addirittura a pensare di andarmene dalla Silicon Valley. Ma qualcosa cominciò a farsi strada dentro me: amavo ancora quello che avevo fatto, e ciò che era successo alla Apple non aveva cambiato questo di un nulla. Ero stato rifiutato, ma ero ancora innamorato. Così decisi di ricominciare.
Non potevo accorgermene allora, ma venne fuori che essere licenziato dalla Apple era la cosa migliore che mi sarebbe potuta capitare. La pesantezza del successo fu sostituita dalla soavità di essere di nuovo un iniziatore, mi rese libero di entrare in uno dei periodi più creativi della mia vita.
Nei cinque anni successivi fondai una Società chiamata NeXT, un’altra chiamata Pixar, e mi innamorai di una splendida ragazza che sarebbe diventata mia moglie. La Pixar produsse il primo film di animazione interamente creato al computer, Toy Story, ed è ora lo studio di animazione di maggior successo nel mondo. In una mirabile successione di accadimenti, Apple comprò NeXT, ritornai in Apple e la tecnologia che sviluppammo alla NeXT è nel cuore dell’attuale rinascimento di Apple. E io e Laurene abbiamo una splendida famiglia insieme.
Sono abbastanza sicuro che niente di tutto questo mi sarebbe accaduto se non fossi stato licenziato dalla Apple. Fu una medicina con un saporaccio, ma presumo che ‘il paziente’ne avesse bisogno. Ogni tanto la vita vi colpisce sulla testa con un mattone. Non perdete la fiducia, però. Sono convinto che l’unica cosa che mi ha aiutato ad andare avanti sia stato l’amore per ciò che facevo. Dovete trovare le vostre passioni, e questo è vero tanto per il/la vostro/a findanzato/a che per il vostro lavoro. Il vostro lavoro occuperà una parte rilevante delle vostre vite, e l’unico modo per esserne davvero soddisfatti sarà fare un gran bel lavoro. E l’unico modo di fare un gran bel lavoro è amare quello che fate. Se non avete ancora trovato ciò che fa per voi, continuate a cercare, non fermatevi, come capita per le faccende di cuore, saprete di averlo trovato non appena ce l’avrete davanti. E, come le grandi storie d’amore, diventerà sempre meglio col passare degli anni. Quindi continuate a cercare finché non lo trovate. Non accontentatevi.
La mia terza storia parla della morte.
Quando avevo diciassette anni, ho letto una citazione che recitava: “Se vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo, uno di questi c’avrai azzeccato”. Mi fece una gran impressione, e da quel momento, per i successivi trentatrè anni, mi sono guardato allo specchio ogni giorno e mi sono chiesto: “Se oggi fosse l’ultimo giorno della mia vita, vorrei fare quello che sto per fare oggi?”. E ogni volta che la risposta era “No” per troppi giorni consecutivi, sapevo di dover cambiare qualcosa.
Ricordare che sarei morto presto è stato lo strumento più utile che abbia mai trovato per aiutarmi nel fare le scelte importanti nella vita. Perché quasi tutto - tutte le aspettative esteriori, l’orgoglio, la paura e l’imbarazzo per il fallimento - sono cose che scivolano via di fronte alla morte, lasciando solamente ciò che è davvero importante. Ricordarvi che state per morire è il miglior modo per evitare la trappola rappresentata dalla convinzione che abbiate qualcosa da perdere. Siete già nudi. Non c’è ragione perché non seguiate il vostro cuore.
Un anno fa mi è stato diagnosticato un cancro. Effettuai una scansione alle sette e trenta del mattino, e mostrava chiaramente un tumore nel mio pancreas. Fino ad allora non sapevo nemmeno cosa fosse un pancreas. I dottori mi dissero che con ogni probabilità era un tipo di cancro incurabile, e avevo un’aspettativa di vita non superiore ai tre-sei mesi. Il mio dottore mi consigliò di tornare a casa ‘a sistemare i miei affari’, che è un modo per i medici di dirti di prepararti a morire. Significa che devi cercare di dire ai tuoi figli tutto quello che avresti potuto nei successivi dieci anni in pochi mesi. Significa che devi fare in modo che tutto sia a posto, così da rendere la cosa più semplice per la tua famiglia. Significa che devi pronunciare i tuoi ‘addio’.
Ho vissuto con quella spada di Damocle per tutto il giorno. In seguito quella sera ho fatto una biopsia, dove mi infilarono una sonda nella gola, attraverso il mio stomaco fin dentro l’intestino, inserirono una sonda nel pancreas e prelevarono alcune cellule del tumore. Ero in anestesia totale, ma mia moglie, che era lì, mi disse che quando videro le cellule al microscopio, i dottori cominciarono a gridare perché venne fuori che si trattava una forma molto rara di cancro curabile attraverso la chirurgia. Così mi sono operato e ora sto bene.
Questa è stata la volta in cui mi sono trovato più vicino alla morte, e spero lo sia per molti decenni ancora. Essendoci passato, posso dirvi ora qualcosa con maggiore certezza rispetto a quando la morte per me era solo un puro concetto intellettuale:
Nessuno vuole morire. Anche le persone che desiderano andare in paradiso non vogliono morire per andarci. E nonostante tutto la morte rappresenta l’unica destinazione che noi tutti condividiamo, nessuno è mai sfuggito ad essa. Questo perché è come dovrebbe essere: la Morte è la migliore invenzione della Vita. E’ l’agente di cambio della Vita: fa piazza pulita del vecchio per aprire la strada al nuovo. Ora come ora ‘il nuovo’ siete voi, ma un giorno non troppo lontano da oggi, gradualmente diventerete ‘il vecchio’e sarete messi da parte. Mi dispiace essere così drammatico, ma è pressappoco la verità.
Il vostro tempo è limitato, perciò non sprecatelo vivendo la vita di qualcun’altro. Non rimanete intrappolati nei dogmi, che vi porteranno a vivere secondo il pensiero di altre persone. Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui zittisca la vostra voce interiore. E, ancora più importante, abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione: loro vi guideranno in qualche modo nel conoscere cosa veramente vorrete diventare. Tutto il resto è secondario.
Quando ero giovane, c’era una pubblicazione splendida che si chiamava The whole Earth catalog, che è stata una delle bibbie della mia generazione. Fu creata da Steward Brand, non molto distante da qui, a Menlo Park, e costui apportò ad essa il suo senso poetico della vita. Era la fine degli anni Sessanta, prima dei personal computer, ed era fatto tutto con le macchine da scrivere, le forbici e le fotocamere polaroid: era una specie di Google formato volume, trentacinque anni prima che Google venisse fuori. Era idealista, e pieno di concetti chiari e nozioni speciali.
Steward e il suo team pubblicarono diversi numeri di The whole Earth catalog, e quando concluse il suo tempo, fecero uscire il numero finale. Era la metà degli anni Settanta e io avevo pressappoco la vostra età. Nella quarta di copertina del numero finale c’era una fotografia di una strada di campagna nel primo mattino, del tipo che potete trovare facendo autostop se siete dei tipi così avventurosi. Sotto, le seguenti parole: “Siate affamati. Siate folli”. Era il loro addio, e ho sperato sempre questo per me. Ora, nel giorno della vostra laurea, pronti nel cominciare una nuova avventura, auguro questo a voi.
Siate affamati. Siate folli.
Mi è piaciuto molto, per la schiettezza con cui ha parlato e per lo sguardo vivo e libero che ha sulla sua vita passata, presente e futura. Alcuni passaggi mi hanno particolarmente colpito, e in qualche modo fatto incazzare. Per un motivo molto semplice: leggendo molti commenti apparsi sulla rete circa il discorso di Jobs, il giudizio che ne viene fuori è di ”un grande, un vero uomo, commovente, desidero conoscerlo, il più bel discorso che abbia sentito, certe parole dette da uno che si chiama Steve Jobs assumono un significato che è impossibile ignorare, saggio, chapeaux, un mito……”.
Nulla da dire al riguardo, ma sono certo, in parte per esperienza vissuta, che se lo stesso discorso lo avesse tenuto don Franco Rossi (nome inventato a caso per indicare un sacerdote!) o un cattolico impegnato socialmente, i commenti della massa sarebbero stati: “le solite frasi, un discorso da prete, cosa vuoi che dicesse!”, come dire, sì va bene ma la realtà è un’altra cosa!!
E invece no, non è così! Il discorso che segue è stimolante e provocante (ma potrebbe risultare anche noioso e riluttante a qualcuno) non per colui che l’ha tenuto, ma per quanto è stato detto.
Sono onorato di essere qui con voi oggi, nel giorno della vostra laurea presso una delle migliori università del mondo. Io non mi sono mai laureato. A dir la verità, questa è l’occasione in cui mi sono di più avvicinato ad un conferimento di titolo accademico. Oggi voglio raccontarvi tre episodi della mia vita. Tutto qui, nulla di speciale. Solo tre storie.
La prima storia parla di “unire i puntini”.
Ho abbandonato gli studi al Reed College dopo sei mesi, ma vi sono rimasto come imbucato per altri diciotto mesi, prima di lasciarlo definitivamente. Allora perchè ho smesso?
Tutto è cominciato prima che io nascessi. La mia madre biologica era laureanda ma ragazza-madre, decise perciò di darmi in adozione. Desiderava ardentemente che io fossi adottato da laureati, così tutto fu approntato affinché ciò avvenisse alla mia nascita da parte di un avvocato e di sua moglie. All’ultimo minuto, appena nato, questi ultimi decisero che avrebbero preferito una femminuccia. Così quelli che poi sarebbero diventati i miei “veri” genitori, che allora si trovavano in una lista d’attesa per l’adozione, furono chiamati nel bel mezzo della notte e venne chiesto loro: “Abbiamo un bimbo, un maschietto, ‘non previsto’; volete adottarlo?”. Risposero: “Certamente”. La mia madre biologica venne a sapere successivamente che mia mamma non aveva mai ottenuto la laurea e che mio padre non si era mai diplomato: per questo si rifiutò di firmare i documenti definitivi per l’adozione. Tornò sulla sua decisione solo qualche mese dopo, quando i miei genitori adottivi le promisero che un giorno sarei andato all’università.
Infine, diciassette anni dopo ci andai. Ingenuamente scelsi un’università che era costosa quanto Stanford, così tutti i risparmi dei miei genitori sarebbero stati spesi per la mia istruzione accademica. Dopo sei mesi, non riuscivo a comprenderne il valore: non avevo idea di cosa avrei fatto nella mia vita e non avevo idea di come l’università mi avrebbe aiutato a scoprirlo. Inoltre, come ho detto, stavo spendendo i soldi che i miei genitori avevano risparmiato per tutta la vita, così decisi di abbandonare, avendo fiducia che tutto sarebbe andato bene lo stesso. OK, ero piuttosto terrorizzato all’epoca, ma guardandomi indietro credo sia stata una delle migliori decisioni che abbia mai preso. Nell’istante in cui abbandonai potei smettere di assistere alle lezioni obbligatorie e cominciai a seguire quelle che mi sembravano interessanti.
Non era tutto così romantico al tempo. Non avevo una stanza nel dormitorio, perciò dormivo sul pavimento delle camere dei miei amici; portavo indietro i vuoti delle bottiglie di coca-cola per raccogliere quei cinque cent di deposito che mi avrebbero permesso di comprarmi da mangiare; ogni domenica camminavo per sette miglia attraverso la città per avere l’unico pasto decente nella settimana presso il tempio Hare Krishna. Ma mi piaceva. Gran parte delle cose che trovai sulla mia strada per caso o grazie all’intuizione in quel periodo si sono rivelate inestimabili più avanti. Lasciate che vi faccia un esempio:
il Reed College a quel tempo offriva probabilmente i migliori corsi di calligrafia del paese. Nel campus ogni poster, ogni etichetta su ogni cassetto, erano scritti in splendida calligrafia. Siccome avevo abbandonato i miei studi ‘ufficiali’e pertanto non dovevo seguire le classi da piano studi, decisi di seguire un corso di calligrafia per imparare come riprodurre quanto di bello visto là attorno. Ho imparato dei caratteri serif e sans serif, a come variare la spaziatura tra differenti combinazioni di lettere, e che cosa rende la migliore tipografia così grande. Era bellissimo, antico e così artisticamente delicato che la scienza non avrebbe potuto ‘catturarlo’, e trovavo ciò affascinante.
Nulla di tutto questo sembrava avere speranza di applicazione pratica nella mia vita, ma dieci anni dopo, quando stavamo progettando il primo computer Machintosh, mi tornò utile. Progettammo così il Mac: era il primo computer dalla bella tipografia. Se non avessi abbandonato gli studi, il Mac non avrebbe avuto multipli caratteri e font spazialmente proporzionate. E se Windows non avesse copiato il Mac, nessun personal computer ora le avrebbe. Se non avessi abbandonato, se non fossi incappato in quel corso di calligrafia, i computer oggi non avrebbero quella splendida tipografia che ora possiedono. Certamente non era possibile all’epoca ‘unire i puntini’e avere un quadro di cosa sarebbe successo, ma tutto diventò molto chiaro guardandosi alle spalle dieci anni dopo.
Vi ripeto, non potete sperare di unire i puntini guardando avanti, potete farlo solo guardandovi alle spalle: dovete quindi avere fiducia che, nel futuro, i puntini che ora vi paiono senza senso possano in qualche modo unirsi nel futuro. Dovete credere in qualcosa: il vostro ombelico, il vostro karma, la vostra vita, il vostro destino, chiamatelo come volete...questo approccio non mi ha mai lasciato a terra, e ha fatto la differenza nella mia vita.
La mia seconda storia parla di amore e di perdita.
Fui molto fortunato - ho trovato cosa mi piacesse fare nella vita piuttosto in fretta. Io e Woz fondammo la Apple nel garage dei miei genitori quando avevo appena vent’anni. Abbiamo lavorato duro, e in dieci anni Apple è cresciuta da noi due soli in un garage sino ad una compagnia da due miliardi di dollari con oltre quattromila dipendenti. Avevamo appena rilasciato la nostra migliore creazione - il Macintosh - un anno prima, e avevo appena compiuto trent’anni... quando venni licenziato. Come può una persona essere licenziata da una Società che ha fondato? Beh, quando Apple si sviluppò assumemmo una persona - che pensavamo fosse di grande talento - per dirigere la compagnia con me, e per il primo anno le cose andarono bene. In seguito però le nostre visioni sul futuro cominciarono a divergere finché non ci scontrammo. Quando successe, il nostro Consiglio di Amministrazione si schierò con lui. Così a trent’anni ero a spasso. E in maniera plateale. Ciò che aveva focalizzato la mia intera vita adulta non c’era più, e tutto questo fu devastante.
Non avevo la benché minima idea di cosa avrei fatto, per qualche mese. Sentivo di aver tradito la precedente generazione di imprenditori, che avevo lasciato cadere il testimone che mi era stato passato. Mi incontrai con David Packard e Bob Noyce e provai a scusarmi per aver mandato all’aria tutto così malamente: era stato un vero fallimento pubblico, e arrivai addirittura a pensare di andarmene dalla Silicon Valley. Ma qualcosa cominciò a farsi strada dentro me: amavo ancora quello che avevo fatto, e ciò che era successo alla Apple non aveva cambiato questo di un nulla. Ero stato rifiutato, ma ero ancora innamorato. Così decisi di ricominciare.
Non potevo accorgermene allora, ma venne fuori che essere licenziato dalla Apple era la cosa migliore che mi sarebbe potuta capitare. La pesantezza del successo fu sostituita dalla soavità di essere di nuovo un iniziatore, mi rese libero di entrare in uno dei periodi più creativi della mia vita.
Nei cinque anni successivi fondai una Società chiamata NeXT, un’altra chiamata Pixar, e mi innamorai di una splendida ragazza che sarebbe diventata mia moglie. La Pixar produsse il primo film di animazione interamente creato al computer, Toy Story, ed è ora lo studio di animazione di maggior successo nel mondo. In una mirabile successione di accadimenti, Apple comprò NeXT, ritornai in Apple e la tecnologia che sviluppammo alla NeXT è nel cuore dell’attuale rinascimento di Apple. E io e Laurene abbiamo una splendida famiglia insieme.
Sono abbastanza sicuro che niente di tutto questo mi sarebbe accaduto se non fossi stato licenziato dalla Apple. Fu una medicina con un saporaccio, ma presumo che ‘il paziente’ne avesse bisogno. Ogni tanto la vita vi colpisce sulla testa con un mattone. Non perdete la fiducia, però. Sono convinto che l’unica cosa che mi ha aiutato ad andare avanti sia stato l’amore per ciò che facevo. Dovete trovare le vostre passioni, e questo è vero tanto per il/la vostro/a findanzato/a che per il vostro lavoro. Il vostro lavoro occuperà una parte rilevante delle vostre vite, e l’unico modo per esserne davvero soddisfatti sarà fare un gran bel lavoro. E l’unico modo di fare un gran bel lavoro è amare quello che fate. Se non avete ancora trovato ciò che fa per voi, continuate a cercare, non fermatevi, come capita per le faccende di cuore, saprete di averlo trovato non appena ce l’avrete davanti. E, come le grandi storie d’amore, diventerà sempre meglio col passare degli anni. Quindi continuate a cercare finché non lo trovate. Non accontentatevi.
La mia terza storia parla della morte.
Quando avevo diciassette anni, ho letto una citazione che recitava: “Se vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo, uno di questi c’avrai azzeccato”. Mi fece una gran impressione, e da quel momento, per i successivi trentatrè anni, mi sono guardato allo specchio ogni giorno e mi sono chiesto: “Se oggi fosse l’ultimo giorno della mia vita, vorrei fare quello che sto per fare oggi?”. E ogni volta che la risposta era “No” per troppi giorni consecutivi, sapevo di dover cambiare qualcosa.
Ricordare che sarei morto presto è stato lo strumento più utile che abbia mai trovato per aiutarmi nel fare le scelte importanti nella vita. Perché quasi tutto - tutte le aspettative esteriori, l’orgoglio, la paura e l’imbarazzo per il fallimento - sono cose che scivolano via di fronte alla morte, lasciando solamente ciò che è davvero importante. Ricordarvi che state per morire è il miglior modo per evitare la trappola rappresentata dalla convinzione che abbiate qualcosa da perdere. Siete già nudi. Non c’è ragione perché non seguiate il vostro cuore.
Un anno fa mi è stato diagnosticato un cancro. Effettuai una scansione alle sette e trenta del mattino, e mostrava chiaramente un tumore nel mio pancreas. Fino ad allora non sapevo nemmeno cosa fosse un pancreas. I dottori mi dissero che con ogni probabilità era un tipo di cancro incurabile, e avevo un’aspettativa di vita non superiore ai tre-sei mesi. Il mio dottore mi consigliò di tornare a casa ‘a sistemare i miei affari’, che è un modo per i medici di dirti di prepararti a morire. Significa che devi cercare di dire ai tuoi figli tutto quello che avresti potuto nei successivi dieci anni in pochi mesi. Significa che devi fare in modo che tutto sia a posto, così da rendere la cosa più semplice per la tua famiglia. Significa che devi pronunciare i tuoi ‘addio’.
Ho vissuto con quella spada di Damocle per tutto il giorno. In seguito quella sera ho fatto una biopsia, dove mi infilarono una sonda nella gola, attraverso il mio stomaco fin dentro l’intestino, inserirono una sonda nel pancreas e prelevarono alcune cellule del tumore. Ero in anestesia totale, ma mia moglie, che era lì, mi disse che quando videro le cellule al microscopio, i dottori cominciarono a gridare perché venne fuori che si trattava una forma molto rara di cancro curabile attraverso la chirurgia. Così mi sono operato e ora sto bene.
Questa è stata la volta in cui mi sono trovato più vicino alla morte, e spero lo sia per molti decenni ancora. Essendoci passato, posso dirvi ora qualcosa con maggiore certezza rispetto a quando la morte per me era solo un puro concetto intellettuale:
Nessuno vuole morire. Anche le persone che desiderano andare in paradiso non vogliono morire per andarci. E nonostante tutto la morte rappresenta l’unica destinazione che noi tutti condividiamo, nessuno è mai sfuggito ad essa. Questo perché è come dovrebbe essere: la Morte è la migliore invenzione della Vita. E’ l’agente di cambio della Vita: fa piazza pulita del vecchio per aprire la strada al nuovo. Ora come ora ‘il nuovo’ siete voi, ma un giorno non troppo lontano da oggi, gradualmente diventerete ‘il vecchio’e sarete messi da parte. Mi dispiace essere così drammatico, ma è pressappoco la verità.
Il vostro tempo è limitato, perciò non sprecatelo vivendo la vita di qualcun’altro. Non rimanete intrappolati nei dogmi, che vi porteranno a vivere secondo il pensiero di altre persone. Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui zittisca la vostra voce interiore. E, ancora più importante, abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione: loro vi guideranno in qualche modo nel conoscere cosa veramente vorrete diventare. Tutto il resto è secondario.
Quando ero giovane, c’era una pubblicazione splendida che si chiamava The whole Earth catalog, che è stata una delle bibbie della mia generazione. Fu creata da Steward Brand, non molto distante da qui, a Menlo Park, e costui apportò ad essa il suo senso poetico della vita. Era la fine degli anni Sessanta, prima dei personal computer, ed era fatto tutto con le macchine da scrivere, le forbici e le fotocamere polaroid: era una specie di Google formato volume, trentacinque anni prima che Google venisse fuori. Era idealista, e pieno di concetti chiari e nozioni speciali.
Steward e il suo team pubblicarono diversi numeri di The whole Earth catalog, e quando concluse il suo tempo, fecero uscire il numero finale. Era la metà degli anni Settanta e io avevo pressappoco la vostra età. Nella quarta di copertina del numero finale c’era una fotografia di una strada di campagna nel primo mattino, del tipo che potete trovare facendo autostop se siete dei tipi così avventurosi. Sotto, le seguenti parole: “Siate affamati. Siate folli”. Era il loro addio, e ho sperato sempre questo per me. Ora, nel giorno della vostra laurea, pronti nel cominciare una nuova avventura, auguro questo a voi.
Siate affamati. Siate folli.
giovedì 25 agosto 2011
Ascensione sul Castore
Esiste davvero il mal di montagna? Chi viene colpito da tale sintomatologia? Questi due interrogativi sono diventati per me esperienza concreta durante l’ultima ascensione, quando con l’amico Giovanni sono salito sul Castore, cima del gruppo Monte Rosa a oltre 4220 m di quota.
Il mal di montagna (o comunque sintomi riconducibili a esso) mi ha colpito perchè, pur avendo una discreta esperienza e un buon allenamento non ho seguito certe regole basilari. Tutto è iniziato sabato mattina: dopo un’abbondante colazione ripetuta due volte, una da solo a casa e una al bar in compagnia, sono partito con Johnny alla volta di Gressoney la Trinitè sicuri di fermarci a mangiare qualcosa prima di salire al rifugio Quintino Sella (3585m). E invece, l’iniziale corsa per prendere l’ultima funivia prima della lunga pausa pranzo, poi, il ristorante annesso alla stazione a monte chiuso, ci hanno costretto a saltare il pranzo. Quindi, siamo saliti alla volta del rifugio, speranzosi di addentare qualcosa una volta arrivati. Peccato che ho tenuto un passo piuttosto celere, e questo se da un lato c’ha permesso di arrivare a destinazione con lungo anticipo dopo oltre 2,20 h di camminata, dall’altro mi ha completamente stordito a causa del notevole salto altimetrico affrontato (circa 1900m da Gressoney) e non mi ha permesso di acclimatarmi adeguatamente. Sin da subito la nausea, la spossatezza e un po’ di cefalea si sono impossessati di me. A fatica sono riuscito a riposare un po’ prima di cena, con scarsa voglia ho cenato e ancora peggio sono andato a letto, dove a causa del malessere, della quota e della numerosa camerata (circa 50 persone stipati su letti a castello in uno stanzone grande), non ho chiuso occhio e ho cominciato a girarmi su me stesso come se stessi rosolando.
L’indomani mattina tutto sembrava essere a posto, colazione consumata con gusto, preparativi in perfetto stile, quindi alle 5,30 la partenza. L’ascensione non presenta sin da subito alcuna difficoltà alpinistica, si potrebbe fare benissimo in solitaria e non in conserva, grazie anche alle abbondanti nevicate delle settimane scorse che hanno “tappato” i possibili crepacci. Purtroppo però, appena dopo 40min. dalla partenza si sono ripresentati i sintomi del malessere: è cominciato così un calvario personale, in cui ero scisso tra il fastidio che provavo, che mi rallentava molto nel cammino e mi “suggeriva” di tornare indietro, e il desiderio di arrivare in cima.
In qualche maniera, sostenuto dalle motivazioni personali e dalle incitazioni a non mollare da parte del mio compagno di corda, siamo giunti in cima sebbene con notevole ritardo, e da lì siamo ripartiti subito per paura di stare peggio. La via del ritorno l’ha guidata Giovanni che mi ha letteralmente tirato e sollevato dopo due cadute (nella seconda mi sono infilato un rampone in quel posto….mamma mia che dolore!!!) fino a ritornare al rifugio dopo quasi 3h. Quindi, dopo una breve pausa siamo arrivati alla stazione di monte della funivia dove ho ricominciato a prendere coscienza “di chi fossi e dove fossi”.
Giunti alla macchina ero stremato e anche un po’ deluso, poiché ho vissuto male l’ascensione, non me la sono goduta come volevo, condizione questa indispensabile.
Rimane di positivo il sostegno del mio compagno di cordata, di un paesaggio davvero incantevole, di un pranzo semplice a base di piatti tipici valdostani che mi hanno riappacificato col mondo!!
Il mal di montagna (o comunque sintomi riconducibili a esso) mi ha colpito perchè, pur avendo una discreta esperienza e un buon allenamento non ho seguito certe regole basilari. Tutto è iniziato sabato mattina: dopo un’abbondante colazione ripetuta due volte, una da solo a casa e una al bar in compagnia, sono partito con Johnny alla volta di Gressoney la Trinitè sicuri di fermarci a mangiare qualcosa prima di salire al rifugio Quintino Sella (3585m). E invece, l’iniziale corsa per prendere l’ultima funivia prima della lunga pausa pranzo, poi, il ristorante annesso alla stazione a monte chiuso, ci hanno costretto a saltare il pranzo. Quindi, siamo saliti alla volta del rifugio, speranzosi di addentare qualcosa una volta arrivati. Peccato che ho tenuto un passo piuttosto celere, e questo se da un lato c’ha permesso di arrivare a destinazione con lungo anticipo dopo oltre 2,20 h di camminata, dall’altro mi ha completamente stordito a causa del notevole salto altimetrico affrontato (circa 1900m da Gressoney) e non mi ha permesso di acclimatarmi adeguatamente. Sin da subito la nausea, la spossatezza e un po’ di cefalea si sono impossessati di me. A fatica sono riuscito a riposare un po’ prima di cena, con scarsa voglia ho cenato e ancora peggio sono andato a letto, dove a causa del malessere, della quota e della numerosa camerata (circa 50 persone stipati su letti a castello in uno stanzone grande), non ho chiuso occhio e ho cominciato a girarmi su me stesso come se stessi rosolando.
L’indomani mattina tutto sembrava essere a posto, colazione consumata con gusto, preparativi in perfetto stile, quindi alle 5,30 la partenza. L’ascensione non presenta sin da subito alcuna difficoltà alpinistica, si potrebbe fare benissimo in solitaria e non in conserva, grazie anche alle abbondanti nevicate delle settimane scorse che hanno “tappato” i possibili crepacci. Purtroppo però, appena dopo 40min. dalla partenza si sono ripresentati i sintomi del malessere: è cominciato così un calvario personale, in cui ero scisso tra il fastidio che provavo, che mi rallentava molto nel cammino e mi “suggeriva” di tornare indietro, e il desiderio di arrivare in cima.
In qualche maniera, sostenuto dalle motivazioni personali e dalle incitazioni a non mollare da parte del mio compagno di corda, siamo giunti in cima sebbene con notevole ritardo, e da lì siamo ripartiti subito per paura di stare peggio. La via del ritorno l’ha guidata Giovanni che mi ha letteralmente tirato e sollevato dopo due cadute (nella seconda mi sono infilato un rampone in quel posto….mamma mia che dolore!!!) fino a ritornare al rifugio dopo quasi 3h. Quindi, dopo una breve pausa siamo arrivati alla stazione di monte della funivia dove ho ricominciato a prendere coscienza “di chi fossi e dove fossi”.
Giunti alla macchina ero stremato e anche un po’ deluso, poiché ho vissuto male l’ascensione, non me la sono goduta come volevo, condizione questa indispensabile.
Rimane di positivo il sostegno del mio compagno di cordata, di un paesaggio davvero incantevole, di un pranzo semplice a base di piatti tipici valdostani che mi hanno riappacificato col mondo!!
martedì 23 agosto 2011
PUNTI IN COMUNE - 11
“…La gente non vaga senza meta per poi ritrovarsi magicamente sull’Everest, commentava Zig Ziglar in Ci vediamo sulla cima: se non ci prefissiamo una meta ben precisa, un glorioso porto cui tendere, non arriveremo da nessuna parte. E Dante ci è maestro in questa attitude….”
(Enrico Cerni – Dante per i manager, pag. 8 – Ed. Gruppo 24ore)
Capacità di focalizzarsi sugli obiettivi, ottimizzazione delle risorse, metodologia da cecchino “one shot one goal”….e con la fortuna come la mettiamo?
“…Le aziende che non crescono e, invece di innovare, aspettano di vedere cosa succede, sono destinate a sparire. Per quanto grandi siano. Per quanto abbiano storia da raccontare. Per quanto imponenti siano le cifre dei fatturati….”
(Enrico Cerni – Dante per i manager, pag. 18 – Ed. Gruppo 24ore)
Forse sparire no, ma vivere in agonia e far vivere senza prospettiva i collaboratori si!
(Enrico Cerni – Dante per i manager, pag. 8 – Ed. Gruppo 24ore)
Capacità di focalizzarsi sugli obiettivi, ottimizzazione delle risorse, metodologia da cecchino “one shot one goal”….e con la fortuna come la mettiamo?
“…Le aziende che non crescono e, invece di innovare, aspettano di vedere cosa succede, sono destinate a sparire. Per quanto grandi siano. Per quanto abbiano storia da raccontare. Per quanto imponenti siano le cifre dei fatturati….”
(Enrico Cerni – Dante per i manager, pag. 18 – Ed. Gruppo 24ore)
Forse sparire no, ma vivere in agonia e far vivere senza prospettiva i collaboratori si!
mercoledì 3 agosto 2011
Ascensione sul Grand Tournalin - la rivincita
Il 17 luglio è stato il giorno della rivincita sul Gran Tournalin. Dopo la “debacle” di giugno a causa della neve, sono ritornato per conquistare la cima.
Carico di energia come sempre, forte della possibilità di arrivare fino in fondo, alle 8 di mattina ero già al parcheggio con gli scarponi indossati, lo zaino in spalla e le racchette tra le mani. Come sempre ero in squadra con Johnny.
L’ascensione è stata dura ma spettacolare, soprattutto l’ultimo strappo (dove la volta scorsa c’eravamo fermati), perché bisognava usare mani e piedi ed era tutto in cresta. Durante la salita il tempo è stato bello e questo ci ha permesso una vista stupenda delle vallate sottostanti, rendendo la via più spettacolare perché il senso di vuoto sotto di noi era notevole. Peccato che una volta in cima siamo stati avvolti da una fitta nebbia, che ci ha costretto a ripartire dopo poco.
Carico di energia come sempre, forte della possibilità di arrivare fino in fondo, alle 8 di mattina ero già al parcheggio con gli scarponi indossati, lo zaino in spalla e le racchette tra le mani. Come sempre ero in squadra con Johnny.
L’ascensione è stata dura ma spettacolare, soprattutto l’ultimo strappo (dove la volta scorsa c’eravamo fermati), perché bisognava usare mani e piedi ed era tutto in cresta. Durante la salita il tempo è stato bello e questo ci ha permesso una vista stupenda delle vallate sottostanti, rendendo la via più spettacolare perché il senso di vuoto sotto di noi era notevole. Peccato che una volta in cima siamo stati avvolti da una fitta nebbia, che ci ha costretto a ripartire dopo poco.
martedì 2 agosto 2011
PUNTI IN COMUNE - 10
“Siete già nudi – disse Steve Jobs ai neolaureati di Stanford – non c’è un motivo per non seguire il vostro cuore”. Non un percorso ragionevole, una strada sensata, un bel vialetto tranquillo, ma il cuore. Correre dietro a quello che ce lo fa battere, l’unica cosa per cui, spiega Jobs ai seguaci e agli affascinati, si riesce a vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo (perché prima o poi avremo ragione, e sarà davvero l’ultimo). Tutto il resto scompare: serve soltanto il cuore, e la fame. Per Jobs la morte è quel che spazza via il vecchio per far posto al nuovo, quindi bisogna sbrigarsi, fino a che si è ancora un po’ nuovi: senza vivere la vita di un altro, senza perdere tempo a farsi il nodo alla cravatta, se non è la cravatta che abbiamo in mente.
Tratto da “Il Foglio” del 19/02/2011)
Tratto da “Il Foglio” del 19/02/2011)
mercoledì 27 luglio 2011
PUNTI IN COMUNE - 9
“…Dante, come tutte le persone ottimiste, ha avuto successo non perché riteneva che tutto gli dovesse andare bene, ma perché l’aspettativa del successo lo ha indotto a lavorare con enorme impegno. Quando ci si aspetta poco, non si è nemmeno motivati a provarci. Quando ci si aspetta molto, il desiderio diventa quello che sempre Bristol definiva an all-obsessing desire…”
(Enrico Cerni – Dante per i manager, pag. 6 – Ed. Gruppo 24ore)
(Enrico Cerni – Dante per i manager, pag. 6 – Ed. Gruppo 24ore)
martedì 26 luglio 2011
PUNTI IN COMUNE - 8
<< La parola lavoro cosa ti fa venire in mente? Divertimento. Qualcosa che possa esprimere noi stessi ed appagarci. Sono consapevole che, invece, comunemente il lavoro viene inteso come sacrificio, come qualcosa in cui le persone debbano espiare la propria felicità. Se tu non ti fai il mazzo, non sei meritevole del rispetto altrui. Molti mi domandato in cosa consista davvero il mio lavoro perché non concepiscono il fatto che la propria passione possa coincidere con il proprio lavoro. >> (Intervista a Alex Bellini su “Il Sole 24 ore”)
venerdì 22 luglio 2011
PUNTI IN COMUNE - 7
<< Io non salgo le montagne per patire il freddo, per respirare con affanno, per tremare dalla paura, per soffrire la fame, per vomitare dalla stanchezza. E’ solo il prezzo da pagare, sono le pietre sulla via della felicità>>
(Hans Peter Eisendle)
<< Paura della scuola. Addestrato al fallimento quotidiano. Le quattro operazioni, soggetto e predicato, elevati al quadrato, dare la precedenza, a destra naturalmente, ignorantia non elusa….tutto questo mi aveva spinto molto presto nei boschi. Quando ero con me stesso, venivo subito segregato in un cantuccio. Uno, due, tre, fare la conta! Fuga tra le montagne, per ore, la domenica. Ho bisogno di spazi di libertà e del desiderio di nuvole bianche lassù>>
(Hans Peter Eisendle)
(Hans Peter Eisendle)
<< Paura della scuola. Addestrato al fallimento quotidiano. Le quattro operazioni, soggetto e predicato, elevati al quadrato, dare la precedenza, a destra naturalmente, ignorantia non elusa….tutto questo mi aveva spinto molto presto nei boschi. Quando ero con me stesso, venivo subito segregato in un cantuccio. Uno, due, tre, fare la conta! Fuga tra le montagne, per ore, la domenica. Ho bisogno di spazi di libertà e del desiderio di nuvole bianche lassù>>
(Hans Peter Eisendle)
domenica 17 luglio 2011
PUNTI IN COMUNE - 6
“Siete già nudi – disse Steve Jobs ai neolaureati di Stanford – non c’è un motivo per non seguire il vostro cuore”. Non un percorso ragionevole, una strada sensata, un bel vialetto tranquillo, ma il cuore. Correre dietro a quello che ce lo fa battere, l’unica cosa per cui, spiega Jobs ai seguaci e agli affascinati, si riesce a vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo (perché prima o poi avremo ragione, e sarà davvero l’ultimo). Tutto il resto scompare: serve soltanto il cuore, e la fame. Per Jobs la morte è quel che spazza via il vecchio per far posto al nuovo, quindi bisogna sbrigarsi, fino a che si è ancora un po’ nuovi: senza vivere la vita di un altro, senza perdere tempo a farsi il nodo alla cravatta, se non è la cravatta che abbiamo in mente.
(Tratto da “Il Foglio” del 19/02/2011)
(Tratto da “Il Foglio” del 19/02/2011)
venerdì 8 luglio 2011
Ascensione sul Grand Tournalin
Il 19 giugno con l’amico Johnny siamo saliti sul Grand Tournalin, cima di 3379 metri di quota, posta a cavallo tra la Val d’ Ayas e la Valtournanche.
Giornata climaticamente bella, paesaggio stupendo, visuale eccezionale.
L’unico inconveniente, la pioggia dei giorni precedenti, che a quota elevata ha significato neve: la notevole quantità, la sua instabilità e il caldo ci hanno suggerito di non arrischiarci sugli ultimi 100 m di cresta che ci separavano dalla cima. L’abbiamo vista e ne abbiamo goduto lo stesso anche se da quota 2270m. In compenso, la fatica fatta e la parziale delusione per la cima “mancata” sono state ripagate dall’incontro casuale con un branco di camosci, che tranquillamente (e senza alcuna paura del nostro passaggio!!!) pascolavano sui prati.
Giornata climaticamente bella, paesaggio stupendo, visuale eccezionale.
L’unico inconveniente, la pioggia dei giorni precedenti, che a quota elevata ha significato neve: la notevole quantità, la sua instabilità e il caldo ci hanno suggerito di non arrischiarci sugli ultimi 100 m di cresta che ci separavano dalla cima. L’abbiamo vista e ne abbiamo goduto lo stesso anche se da quota 2270m. In compenso, la fatica fatta e la parziale delusione per la cima “mancata” sono state ripagate dall’incontro casuale con un branco di camosci, che tranquillamente (e senza alcuna paura del nostro passaggio!!!) pascolavano sui prati.
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