Se c’è una cosa che mio figlio ha tanto desiderato quest’anno è stato andare allo stadio.
Ma uno stadio vero, di quelli di serie A!
Realizzare questo desiderio non implica grosse difficoltà all’apparenza in quanto abbastanza semplice. Se però il papà, cioè io, non è particolarmente appassionato di calcio, e ancora più delle squadre milanesi, anche un banale sogno può trovare difficoltà nell’essere esaudito.
L’occasione però si è presentata domenica 2 maggio, quando a Catania si è giocato Catania-Juventus. In una sola partita avremmo potuto vedere le nostre due squadre del cuore.
Se il nonno, ad aprile, ha lanciato il sasso, il nipote l’ha raccolto e rimbalzato più volte al papà, il quale “tumefatto” e esausto ha invitato il nonno ad acquistare i biglietti necessari a vedere la partita.
Come ogni match del cuore va vissuto anche nell’abbigliamento: così il più piccolo tra i tre ha indossato la maglietta del Catania, mentre io ho portato con me una sciarpa.
I biglietti acquistati con venti giorni di anticipo erano in curva sud, i soli rimasti.
Mio figlio ha vissuto con estrema attesa la giornata sin dal mattino. L’ansia gioiosa era evidente a tutti e si mostrava in tutto quello che faceva.
Un pranzo veloce e leggero, quindi, il trasferimento allo stadio con netto anticipo, per superare con calma i controlli della polizia, prendere posto e, vista la splendida giornata di sole godersi anche un po’ della calura primaverile.
Lo stadio era stracolmo, circa venticinque mila spettatori, quasi tutti tifosi del Catania. Solo una piccolissima parte della tifoseria era juventina, relegata in un angolo sperduto dello stadio a riparo degli ultras della squadra locale.
“Chi non salta juventino è eh…..” è uno dei pochi slogan ripetuti che possono essere citati.
Il resto era formato da espressioni molto colorite ma, devo riconoscere, molto simpatiche e non offensive. Nulla di minaccioso o violento.
Durante la partita, come ci si poteva immaginare, l’arbitro, “ ‘u pupu niuru”, è stato il protagonista delle invettive dei tifosi.
Vuoi per una cosa, vuoi per un’altra, il suo operato non andava bene e quindi era degno di “suggerimenti”.
Stessa sorte toccò a partire dall’inizio del secondo tempo anche per Mihajlovic, quando la squadra cominciò a “sedersi” subendo il gol del pareggio.
Mio figlio era entusiasta della partita!
Vedeva dal vivo le sue squadre e in più, caso volle, eravamo seduti nella curva vicino la porta dove sono stati segnati i due gol.
Dopo un primo momento di stupore, in cui la sorpresa lo aveva quasi bloccato di fronte allo spettacolo di tifo e di colori, mio figlio ha cominciato a tifare da tifoso: esultava quando la palla la toccavano i suoi preferiti, gioiva di fronte a una bella azione, si arrabbiava quando la palla veniva perduta inutilmente. Il tutto all’interno di un comportamento, naturalmente, degno di un bambino educato.
Per la cronaca, il pareggio del Catania con la Juventus e contemporaneamente il pareggio tra Bologna e Atalanta ha significato la permanenza in serie A della squadra etnea.
Forza Catania!!!
domenica 30 maggio 2010
domenica 16 maggio 2010
UmPiPiTo: matrimonio di Um
Esultate popoli, gioite voi tutti…Mana si maritau!
“Mana si maritau!”
Finalmente, l’ultimo degli UmPiPiTo, come l’ultimo dei Moicani, è capitolato!!
La coppia d’oro, lui, ingegnere di ottime capacità professionali, lei, giovane ma affermata avvocato del foro calatino hanno compiuto il passo tanto desiderato.
Il 1 Maggio, giorno dedidato a S.Giuseppe lavoratore, nella Basilica di S.Giacomo a Caltagirone, davanti a S.E.Mons. Michele Pennisi, Michele detto Mana (l’Um degli UmPiPiTo) ed Eleonora si sono congiunti in matrimonio davanti a sei testimoni, tra cui lo scrivente, e circa centocinquanta invitati.
All’arrivo in chiesa, i promessi sposi erano particolarmente contenti e felici: la sposa assai tranquilla, almeno all’apparenza, lo sposo piuttosto teso. Um è rimasto così per quasi tutta la cerimonia nuziale, salvo una breve parentesi durante la S.Comunione in cui ha accennato qualche sorriso. Il suo viso era talmente teso che lo scrivente e To, testimoni dello sposo insieme a Salvo, cugino di Um, pensammo fosse stato colpito da paresi facciale. Questa preoccupazione ci spinse a fare qualche boccaccia a Um nel tentativo di rianimarlo, spettacolo che fu colto però anche da qualche invitato che a fine cerimonia non tardò di dirci:
“Passunu l’anni ma ristati sempri i stissi!”
Non si è capito bene se si trattava di un complimento, come a dire che ci manteniamo giovani, o un accusa come dire che siamo sempre minchioni!
Subito dopo la cerimonia gli sposi insieme agli invitati si sono diretti verso il luogo della festa, un antico castello tardo medievale, riserva di caccia di una potente famiglia nobiliare locale, posto alle pendici dei monti Iblei.
Al posteggio del castello incontro Leo, mio caro amico e testimone di nozze.
E’ con la sua compagna, Alessandra, sua ex studentessa universitaria e ora collaboratrice.
Ma cosa vedo?
La giovane è in dolce attesa….al settimo mese….di due gemelle.
Minchia papà!!!
“Me cumpari Leo fici tombola!”
Come avrò modo di verificare durante la serata, i due sono contenti dell’esperienza che stanno vivendo e attendono con ansia l’arrivo di….Sofia?....Giorgia?...i nomi li stanno ancora valutando.
La giornata calda e assolata ha permesso di fare un aperitivo a bordo piscina e di gustare il ricco buffet di antipasti a base di pesce, salumi e formaggi nel cortile interno del castello.
Gli invitati non eravamo molti e questo ha permesso agli sposi di gestirci con tutta tranquillità.
Durante la serata ho avuto modo di incontrare persone che non vedevo da molti anni, qualcuno dai tempi dell’università.
Come disse qualcuno: “questo matrimonio ha rimesso assieme i cocci di rapporti che un tempo erano saldi!”.
Infatti, è stato molto piacevole e gradito rivedere alcuni amici con cui ho condiviso momenti molto importanti della mia vita giovanile.
Qualcuno è cambiato di molto, qualcuno è ingrassato, molti hanno i capelli brizzolati o addirittura certuni senza.
Altri si sono mantenuti tali e quali, come se avessero fatto un patto col diavolo per mantenere l’eterna giovinezza. Qualcun altro, con i dovuti limiti, sembra migliorato, come un buon vino stagionato e ben conservato.
Gli sposi erano radiosi di gioia, lei bellissima nel suo abito avorio che esaltava la sua snellezza e il suo candore, come una farfalla che volteggiava in aria, lui, ormai ripresosi dalla paresi facciale, nel suo abito blu con il panciotto e il capello tendente al brizzolato che gli conferiva un’aria da gentleman.
La festa era allietata da alcuni musicisti, un violinista rumeno molto virtuoso, un pianista eccezionale, una soprano con una voce fantastica e un maestro d’orchestra bravo nel dirigere ma ancora più a interpretare poesie e spiegare i testi.
La cena si è svolta in una delle sale del castello.
Tutto era curato nei particolari, in maniera sobria ma elegante. Gli sposi sono stati protagonisti in ogni momento: la gioia e la serenità che sperimentavano era contagiosa, e lo manifestavano attraverso i giri di tavolo e i balli che intrattenevano tra una portata e l’altra.
Io, che conosco Um sin da bambino, e che posso testimoniare quanto sia di legno nel ballo, eravamo un gruppo di amici…lignei nel ballo….un bosco insomma!....quella sera era più che molleggiato.
E sono certo che non abbia preso lezioni di ballo, ma era solo frutto della letizia che viveva!!
n.b.: le foto riportano solo lo sposo per due motivi:
1) conoscendoci sin dall’infanzia era il minimo che potesse concedere
2) mancanza della liberatoria ai fini della legge sulla privacy da parte della sposa!!
E siccome è avvocato….meglio averla amica che nemica….non si sa mai! ;-))
Naturalmente scherzo. Con affetto!!
“Mana si maritau!”
Finalmente, l’ultimo degli UmPiPiTo, come l’ultimo dei Moicani, è capitolato!!
La coppia d’oro, lui, ingegnere di ottime capacità professionali, lei, giovane ma affermata avvocato del foro calatino hanno compiuto il passo tanto desiderato.
Il 1 Maggio, giorno dedidato a S.Giuseppe lavoratore, nella Basilica di S.Giacomo a Caltagirone, davanti a S.E.Mons. Michele Pennisi, Michele detto Mana (l’Um degli UmPiPiTo) ed Eleonora si sono congiunti in matrimonio davanti a sei testimoni, tra cui lo scrivente, e circa centocinquanta invitati.
All’arrivo in chiesa, i promessi sposi erano particolarmente contenti e felici: la sposa assai tranquilla, almeno all’apparenza, lo sposo piuttosto teso. Um è rimasto così per quasi tutta la cerimonia nuziale, salvo una breve parentesi durante la S.Comunione in cui ha accennato qualche sorriso. Il suo viso era talmente teso che lo scrivente e To, testimoni dello sposo insieme a Salvo, cugino di Um, pensammo fosse stato colpito da paresi facciale. Questa preoccupazione ci spinse a fare qualche boccaccia a Um nel tentativo di rianimarlo, spettacolo che fu colto però anche da qualche invitato che a fine cerimonia non tardò di dirci:
“Passunu l’anni ma ristati sempri i stissi!”
Non si è capito bene se si trattava di un complimento, come a dire che ci manteniamo giovani, o un accusa come dire che siamo sempre minchioni!
Subito dopo la cerimonia gli sposi insieme agli invitati si sono diretti verso il luogo della festa, un antico castello tardo medievale, riserva di caccia di una potente famiglia nobiliare locale, posto alle pendici dei monti Iblei.
Al posteggio del castello incontro Leo, mio caro amico e testimone di nozze.
E’ con la sua compagna, Alessandra, sua ex studentessa universitaria e ora collaboratrice.
Ma cosa vedo?
La giovane è in dolce attesa….al settimo mese….di due gemelle.
Minchia papà!!!
“Me cumpari Leo fici tombola!”
Come avrò modo di verificare durante la serata, i due sono contenti dell’esperienza che stanno vivendo e attendono con ansia l’arrivo di….Sofia?....Giorgia?...i nomi li stanno ancora valutando.
La giornata calda e assolata ha permesso di fare un aperitivo a bordo piscina e di gustare il ricco buffet di antipasti a base di pesce, salumi e formaggi nel cortile interno del castello.
Gli invitati non eravamo molti e questo ha permesso agli sposi di gestirci con tutta tranquillità.
Durante la serata ho avuto modo di incontrare persone che non vedevo da molti anni, qualcuno dai tempi dell’università.
Come disse qualcuno: “questo matrimonio ha rimesso assieme i cocci di rapporti che un tempo erano saldi!”.
Infatti, è stato molto piacevole e gradito rivedere alcuni amici con cui ho condiviso momenti molto importanti della mia vita giovanile.
Qualcuno è cambiato di molto, qualcuno è ingrassato, molti hanno i capelli brizzolati o addirittura certuni senza.
Altri si sono mantenuti tali e quali, come se avessero fatto un patto col diavolo per mantenere l’eterna giovinezza. Qualcun altro, con i dovuti limiti, sembra migliorato, come un buon vino stagionato e ben conservato.
Gli sposi erano radiosi di gioia, lei bellissima nel suo abito avorio che esaltava la sua snellezza e il suo candore, come una farfalla che volteggiava in aria, lui, ormai ripresosi dalla paresi facciale, nel suo abito blu con il panciotto e il capello tendente al brizzolato che gli conferiva un’aria da gentleman.
La festa era allietata da alcuni musicisti, un violinista rumeno molto virtuoso, un pianista eccezionale, una soprano con una voce fantastica e un maestro d’orchestra bravo nel dirigere ma ancora più a interpretare poesie e spiegare i testi.
La cena si è svolta in una delle sale del castello.
Tutto era curato nei particolari, in maniera sobria ma elegante. Gli sposi sono stati protagonisti in ogni momento: la gioia e la serenità che sperimentavano era contagiosa, e lo manifestavano attraverso i giri di tavolo e i balli che intrattenevano tra una portata e l’altra.
Io, che conosco Um sin da bambino, e che posso testimoniare quanto sia di legno nel ballo, eravamo un gruppo di amici…lignei nel ballo….un bosco insomma!....quella sera era più che molleggiato.
E sono certo che non abbia preso lezioni di ballo, ma era solo frutto della letizia che viveva!!
n.b.: le foto riportano solo lo sposo per due motivi:
1) conoscendoci sin dall’infanzia era il minimo che potesse concedere
2) mancanza della liberatoria ai fini della legge sulla privacy da parte della sposa!!
E siccome è avvocato….meglio averla amica che nemica….non si sa mai! ;-))
Naturalmente scherzo. Con affetto!!
lunedì 10 maggio 2010
Le avventure del dott. Sapuppo n.9
Il giorno della partenza giunse inesorabile, e stavolta non ci fu alcun vulcano a fermare gli aerei.
Agatino arrivò puntuale all’aeroporto di Fontanarossa, accompagnato stavolta solo dai genitori e da Paola. I primi, accortisi subito di essere fuori luogo, salutarono il caro figliolo come se partisse per la guerra, sbaciucchiandolo, accarezzandolo e lasciando sul suo giaccone evidenti tracce di lacrime, mentre Paola trascorse con lui gli ultimi momenti prima dell’imbarco. Non ci furono scene da telenovelas, in cui si promisero mari e monti, ma solo un affettuoso dialogo tra due adulti ben consapevoli di cosa stessero vivendo.
Una storia d’amore, la loro storia d’amore!!
Il bacio che Agatino diede a Paola un instante prima di passare dal body scanner sintetizzò la loro vacanza: io vado ma tu sei con me, per adesso solo col cuore, spero presto anche col corpo. Certo, le donne sono sempre apparentemente più fragili, per cui le lacrime sgorgarono mentre il suo fidanzato si allontanava, lui era impassibile fuori ma corroso dentro: il cuore batteva a mille, la testa era andata in panne, le mani tremavano e la lingua era diventata di pezza. Ogni passo verso il gate era un passo pesante, come stesse camminando nel fango, come se stesse tirando un carretto pieno di pietre.
Ma erano entrambi lieti, perché sapevano che ognuno portava con sé un pezzo dell’altro.
Il viaggio in aereo trascorse velocemente, il cielo limpido permise a tutti i viaggiatori di gustare il mare Tirreno e le coste come poche volte succedeva, anche se intorno alla Liguria le nuvole cominciarono a presentarsi in maniera minacciosa. Quando l’aereo atterrò a Linate, la nebbia e il freddo avvolsero Agatino in un baleno.
“Che arrivo di merda!”, si disse Agatino.
“Minchia che facce tristi, veni a depressioni a taliarli!”, si confessò.
“Cettu, cu stu tempu di merda comu voi ‘ca a genti sia felici”, continuò.
Lo squillo del telefonino e il numero di Paola sullo schermo cancellarono i cattivi pensieri.
“Mia cara, sono appena atterrato in questa terra di…..”, stava dicendo Agatino.
“Che ti interessa come è il tempo se stai parlando con me!”, lo interruppe Paola
“Oltre le nuvole c’è il sole e ci sarà sempre”, continuò la ragazza, “o forse perché ci sono le nuvole neghi l’esistenza del sole?”, concluse Paola.
“No, certo hai ragione, però…..”, abbozzò Agatino.
“Buona serata mio caro, ci sentiamo stasera prima di andare a letto”, rispose Paola e chiuse la telefonata.
Hai capito caro Agatino?
Con un taxi giunse a casa, dove in poco tempo sistemò i bagagli, si fece una doccia e si preparò la cena.
Fece in tempo a mettere il pigiama che il telefonino squillò. Era la mamà!
“Figghiu, arrivasti?”, chiese la donna
“No mamà, sugnu ancora ‘ncapu l’aereo, ni stammu furriannnu a Lombardia ppi piaciri”, rispose il figlio
“Daveru? E picchì?”, continuò la donna
“Ma quannu mai, mamà, sugnu ‘ncasa, haiu mangiatu e ora mi staiu iennu a cuccari”, rispose Agatino.
“Tutto a posto, a truatu i cosi comu i lassasti?” domandò la mamma
“Tutto a posto. Buona notte”, concluse il figlio.
Passarono cinque minuti che il telefono squillò. Paola lo anticipava anche nelle chiamate.
“Come stai tesoro?” principiò la ragazza
“Ora meglio. Quando ero arrivato in aeroporto ero stato colto da uno scoramento assurdo, mi venivano le lacrime agli occhi, poi mi hai chiamato e ho cominciato a vedere le cose in maniera diversa”, spiegò Agatino.
“Adesso siamo in due e ci dobbiamo aiutare, altrimenti perché stiamo insieme? Sono stanca, ho finito di lavorare poco fa, sono appena uscito dallo studio e domani devo andare a Palermo col mio capo per una causa. Partenza ore 6! All’idea sto male, ma sono molto incuriosita e carica. Sai, l’ho preparata tutta io la causa. Il mio capo viene come referenza! Secondo lui sono molto brava e questi anni, duri e faticosi, servono per farmi le ossa”, disse la ragazza
“Si vede che ci sai fare. Allora in bocca al lupo per domani e fammi sapere appena possibile come è andato il round.”, rispose Agatino.
“Il primo a saperlo sarai tu, altrimenti chi? Buona notte mio caro”, concluse Paola
“Buona notte bellezza!”, rispose Agatino e chiuse la telefonata.
L’indomani mattina, di buona lena, Agatino si alzò, si sbarbò, si vestì e senza apparente fatica uscì per raggiungere il lavoro.
Entrò in azienda che era pimpante, allegro, contento.
Salutò il colleghi che incontrò e si andò a sedere alla sua scrivania.
La giornata trascorse a smaltire il lavoro arretrato, a leggere le mail più importanti, a chiamare i clienti e chiedere chiarimenti sulle richieste di offerta, a raccontare ad alcuni del suo viaggio in Sicilia.
La baldanza del dott. Sapuppo non passò inosservata ai colleghi. Qualcuno la addusse all’effetto viaggio a casa, per cui si sarebbe smaltita nel giro di due giorni, altri notarono una serenità fuori dall’usuale, e che pertanto a dir loro c’era qualcosa di strano.
I secondi avevano colto nel segno.
La ripresa dell’attività lavorativa avvenne in maniera nuova e diversa dal solito.
Non che non fosse faticoso: il lavoro che faceva non gli piaceva prima e non gli piaceva ora. Non sopportava i suoi capi, prima e non li sopportava ora. Faceva fatica a rapportarsi con alcuni colleghi, prima e ora.
Ma tutto aveva un significato diverso.
Era come se avesse scoperto il segreto per cui era possibile vivere le stesse circostanze di prima in una maniera diversa, più lieta, più gratuita.
La domanda che cominciava a porsi, tra sé, era se Paola c’entrasse in tutto questo e che cosa il rapporto affettivo con Paola gli permettesse di cogliere di bello.
La risposta non ce l’aveva, ma il desiderio di capirlo si.
Il suo cambiamento fu così radicale che addirittura alcuni colleghi stronzi cominciarono a rapportarsi con lui e a chiedergli di prendere assieme un caffè. Uno che sapeva giocare a tennis, lo invitò a un doppio con altri colleghi.
Il suo capo, che di solito lo cazziava senza guardarlo in faccia e senza concedergli replica, ora lo cazziava sempre ma teneva gli occhi fissi su di lui e non passava occasione in cui il dott. Sapuppo ribatteva con professionalità e senza astio.
Cose incredibili stavano accadendo nella business unit “Terza Età”!
Di queste novità ne parlava spesso con Paola, la quale era sempre più entusiasta perché coglieva in Agatino il cambiamento e lo vedeva ancora più bello di quello rivisto in Sicilia.
Del suo atteggiamento diverso si accorse anche il figlio di Agatino, Concetto detto Nitto, al quale il papà raccontò il suo viaggio in Sicilia, di Paola e della loro storia. I due trascorsero insieme un fine settimana a Padova, in cui Agatino non smise un istante di parlare e di raccontare.
Quando si lasciarono, il figlio che aveva una testa piena come una casa per tutto quanto aveva sentito, salutò il padre dicendogli:
“Papà, ancora non ho ben capito cosa ti sia successo. Ma ti vedo felice e sereno, come rinato….e di questo sono anch’io più contento”.
Agatino arrivò puntuale all’aeroporto di Fontanarossa, accompagnato stavolta solo dai genitori e da Paola. I primi, accortisi subito di essere fuori luogo, salutarono il caro figliolo come se partisse per la guerra, sbaciucchiandolo, accarezzandolo e lasciando sul suo giaccone evidenti tracce di lacrime, mentre Paola trascorse con lui gli ultimi momenti prima dell’imbarco. Non ci furono scene da telenovelas, in cui si promisero mari e monti, ma solo un affettuoso dialogo tra due adulti ben consapevoli di cosa stessero vivendo.
Una storia d’amore, la loro storia d’amore!!
Il bacio che Agatino diede a Paola un instante prima di passare dal body scanner sintetizzò la loro vacanza: io vado ma tu sei con me, per adesso solo col cuore, spero presto anche col corpo. Certo, le donne sono sempre apparentemente più fragili, per cui le lacrime sgorgarono mentre il suo fidanzato si allontanava, lui era impassibile fuori ma corroso dentro: il cuore batteva a mille, la testa era andata in panne, le mani tremavano e la lingua era diventata di pezza. Ogni passo verso il gate era un passo pesante, come stesse camminando nel fango, come se stesse tirando un carretto pieno di pietre.
Ma erano entrambi lieti, perché sapevano che ognuno portava con sé un pezzo dell’altro.
Il viaggio in aereo trascorse velocemente, il cielo limpido permise a tutti i viaggiatori di gustare il mare Tirreno e le coste come poche volte succedeva, anche se intorno alla Liguria le nuvole cominciarono a presentarsi in maniera minacciosa. Quando l’aereo atterrò a Linate, la nebbia e il freddo avvolsero Agatino in un baleno.
“Che arrivo di merda!”, si disse Agatino.
“Minchia che facce tristi, veni a depressioni a taliarli!”, si confessò.
“Cettu, cu stu tempu di merda comu voi ‘ca a genti sia felici”, continuò.
Lo squillo del telefonino e il numero di Paola sullo schermo cancellarono i cattivi pensieri.
“Mia cara, sono appena atterrato in questa terra di…..”, stava dicendo Agatino.
“Che ti interessa come è il tempo se stai parlando con me!”, lo interruppe Paola
“Oltre le nuvole c’è il sole e ci sarà sempre”, continuò la ragazza, “o forse perché ci sono le nuvole neghi l’esistenza del sole?”, concluse Paola.
“No, certo hai ragione, però…..”, abbozzò Agatino.
“Buona serata mio caro, ci sentiamo stasera prima di andare a letto”, rispose Paola e chiuse la telefonata.
Hai capito caro Agatino?
Con un taxi giunse a casa, dove in poco tempo sistemò i bagagli, si fece una doccia e si preparò la cena.
Fece in tempo a mettere il pigiama che il telefonino squillò. Era la mamà!
“Figghiu, arrivasti?”, chiese la donna
“No mamà, sugnu ancora ‘ncapu l’aereo, ni stammu furriannnu a Lombardia ppi piaciri”, rispose il figlio
“Daveru? E picchì?”, continuò la donna
“Ma quannu mai, mamà, sugnu ‘ncasa, haiu mangiatu e ora mi staiu iennu a cuccari”, rispose Agatino.
“Tutto a posto, a truatu i cosi comu i lassasti?” domandò la mamma
“Tutto a posto. Buona notte”, concluse il figlio.
Passarono cinque minuti che il telefono squillò. Paola lo anticipava anche nelle chiamate.
“Come stai tesoro?” principiò la ragazza
“Ora meglio. Quando ero arrivato in aeroporto ero stato colto da uno scoramento assurdo, mi venivano le lacrime agli occhi, poi mi hai chiamato e ho cominciato a vedere le cose in maniera diversa”, spiegò Agatino.
“Adesso siamo in due e ci dobbiamo aiutare, altrimenti perché stiamo insieme? Sono stanca, ho finito di lavorare poco fa, sono appena uscito dallo studio e domani devo andare a Palermo col mio capo per una causa. Partenza ore 6! All’idea sto male, ma sono molto incuriosita e carica. Sai, l’ho preparata tutta io la causa. Il mio capo viene come referenza! Secondo lui sono molto brava e questi anni, duri e faticosi, servono per farmi le ossa”, disse la ragazza
“Si vede che ci sai fare. Allora in bocca al lupo per domani e fammi sapere appena possibile come è andato il round.”, rispose Agatino.
“Il primo a saperlo sarai tu, altrimenti chi? Buona notte mio caro”, concluse Paola
“Buona notte bellezza!”, rispose Agatino e chiuse la telefonata.
L’indomani mattina, di buona lena, Agatino si alzò, si sbarbò, si vestì e senza apparente fatica uscì per raggiungere il lavoro.
Entrò in azienda che era pimpante, allegro, contento.
Salutò il colleghi che incontrò e si andò a sedere alla sua scrivania.
La giornata trascorse a smaltire il lavoro arretrato, a leggere le mail più importanti, a chiamare i clienti e chiedere chiarimenti sulle richieste di offerta, a raccontare ad alcuni del suo viaggio in Sicilia.
La baldanza del dott. Sapuppo non passò inosservata ai colleghi. Qualcuno la addusse all’effetto viaggio a casa, per cui si sarebbe smaltita nel giro di due giorni, altri notarono una serenità fuori dall’usuale, e che pertanto a dir loro c’era qualcosa di strano.
I secondi avevano colto nel segno.
La ripresa dell’attività lavorativa avvenne in maniera nuova e diversa dal solito.
Non che non fosse faticoso: il lavoro che faceva non gli piaceva prima e non gli piaceva ora. Non sopportava i suoi capi, prima e non li sopportava ora. Faceva fatica a rapportarsi con alcuni colleghi, prima e ora.
Ma tutto aveva un significato diverso.
Era come se avesse scoperto il segreto per cui era possibile vivere le stesse circostanze di prima in una maniera diversa, più lieta, più gratuita.
La domanda che cominciava a porsi, tra sé, era se Paola c’entrasse in tutto questo e che cosa il rapporto affettivo con Paola gli permettesse di cogliere di bello.
La risposta non ce l’aveva, ma il desiderio di capirlo si.
Il suo cambiamento fu così radicale che addirittura alcuni colleghi stronzi cominciarono a rapportarsi con lui e a chiedergli di prendere assieme un caffè. Uno che sapeva giocare a tennis, lo invitò a un doppio con altri colleghi.
Il suo capo, che di solito lo cazziava senza guardarlo in faccia e senza concedergli replica, ora lo cazziava sempre ma teneva gli occhi fissi su di lui e non passava occasione in cui il dott. Sapuppo ribatteva con professionalità e senza astio.
Cose incredibili stavano accadendo nella business unit “Terza Età”!
Di queste novità ne parlava spesso con Paola, la quale era sempre più entusiasta perché coglieva in Agatino il cambiamento e lo vedeva ancora più bello di quello rivisto in Sicilia.
Del suo atteggiamento diverso si accorse anche il figlio di Agatino, Concetto detto Nitto, al quale il papà raccontò il suo viaggio in Sicilia, di Paola e della loro storia. I due trascorsero insieme un fine settimana a Padova, in cui Agatino non smise un istante di parlare e di raccontare.
Quando si lasciarono, il figlio che aveva una testa piena come una casa per tutto quanto aveva sentito, salutò il padre dicendogli:
“Papà, ancora non ho ben capito cosa ti sia successo. Ma ti vedo felice e sereno, come rinato….e di questo sono anch’io più contento”.
martedì 4 maggio 2010
Le avventure del dott. Sapuppo n.8
Quella stessa sera anche l’Etna fece festa. Per lei, amorevolmente chiamata A Muntagna, fare festa significava tremare, fumare, eruttare.
In un paio d’ore, il vulcano fece quello che di solito richiede qualche giorno. Una leggera ma intensa scossa di terremoto, quindi una densa fumata con una lunga colonna di cenere, infine, nelle primissime ore del mattino cominciò l’attività eruttiva. Tutto partì e si svolse ad alta quota, a partire dal cratere di 3065 m, ma la colata, come sempre viscosa e lenta, fu carica di magma. Uno spettacolo in quella notte stellata vedere una lingua di fuoco che spuntava dal nero del vulcano!
Ma i catanesi e i loro vicini ci sono abituati ai terremoti e alle eruzioni dell’Etna. Basta pensare che la stessa città è stata distrutta sette volte e otto volte ricostruita nella stessa area.
Testardi ‘sti catanesi! O legati fino in fondo alla loro terra e alle loro tradizioni?
Ma la fumata fu oltre ogni peggiore previsione: il pennacchio di fumo che si erge dal cratere rende scenografico il vulcano, significa che è vivo e sta bene. Di solito si vede da notevole distanza, e se c’è il cielo terso già dalle Madonie si coglie la particolarità della colonna di fumo e a seconda di dove è orientata si capisce da dove tira il vento. Stavolta, però, dal satellite non si vedeva la Sicilia ma una macchia scura che copriva l’isola, Lampedusa, Linosa, Malta, la Tunisia, l’Algeria e si dirigeva velocemente verso la parte orientale del bacino del Mediterraneo. In poche ore sarebbe arrivata fino in Turchia.
La cenere, fine come il borotalco, è affare assai delicato da trattare.
Una volta caduta a terra rende la superficie scivolosa, come se si camminasse sul sapone o sul ghiaccio. Sulle strade è vietata la circolazione dei veicoli a due ruote, la velocità delle auto è ridotta a 40km/h, i marciapiedi, soprattutto per i gli anziani e per i bambini si trasformano in vere e proprie rampe di lancio. Le cadute sono, purtroppo, frequenti, e in quei giorni il lavoro per il pronto soccorso degli ospedali aumenta all’improvviso.
Purtroppo non esistono gli spazzaceneri, e pertanto si puliscono le vie con gli automezzi lava strade. La prudenza è l’unica arma per combattere i pericoli della cenere.
Inoltre, la cenere, è corrosiva e pertanto ogni buon automobilista deve velocemente lavare la macchina una volta che è finita la pioggia di cenere.
Ma il silicio contenuto nella polvere la rende anche abrasiva, per cui se la cenere impatta con un corpo a velocità tende a levigarlo. Succede così agli aerei, le cui turbine, in particolare sono a rischio.
Quella sera, ne cadde così tanto che sia la IATA che l’ENAC furono costretti a bloccare il traffico aereo su tutta l’area del bacino del Mediterraneo, da est a ovest, dalle Alpi al Sahara.
Fu così che l’indomani, quando Agatino si presentò con tutta la processione di parenti e vicini di casa, all’aeroporto di Fontanarossa, trovarono un caos enorme di persone che non sapevano se partivano o se restavano. Le notizie che si susseguivano erano molteplici, anche contraddittorie, ma nessuna ufficiale. Questo creava tensione e malcontento e ci volle poco perché a qualcuno si riscaldassero gli animi. Le forze dell’ordine presenti riuscirono a calmare i più esagitati.
Agatino, era in mezzo a tanta gente, circondato dai “suoi” fedeli. Ma gli mancava una persona. Si tendeva il collo, per essere più alto degli altri, e vedere il più lontano possibile. Ma non scorgeva il profilo che desiderava.
Possibile? Ha vissuto un sogno? Erano parole al vento?
La sua testa, come sempre tendeva ad andare per la tangente, ma il suo cuore lo teneva fermo sulle sue certezze. Se Paola non c’era un motivo doveva esserci, e non valeva la pena perdere tempo con illazioni e dubbi insignificanti.
Nella calca del momento, il cellulare di Agatino cominciò a suonare. Ad ogni numero di donna, aveva associato, come suoneria il ritornello della canzone “Certe notti” di Ligabue, al numero di Paola, invece, il ritornello della canzone “Mi sei scoppiato dentro al cuore” interpretato da Mina. E infatti, questo fu il suono che si cominciò a sentire.
D’improvviso, il cuore di Agatino cominciò a pulsare che sembrava scoppiasse davvero, e le dita delle mani cominciarono a tremare che a fatica riuscì a schiacciare il pulsante “rispondi” del cellulare.
“Pronto?”, disse Agatino ben sapendo con chi parlava
“Ciao Amore mio!”, rispose una voce delicata dall’altro lato
“Avrei desiderato tanto che fossi qui a salutarmi”, ribattè Agatino un poco imparpagliato.
“Ma tanto non parti!”, proseguì gioiosa Paola.
“Come fai a dire questo?” chiese Agatino
“L’ho sentito stamattina in TV. Infatti mi stupisco che tu sia all’aeroporto!. Hanno chiuso lo spazio aereo fino a domani sera, per i rischi che provoca la cenere!” spiegò Paola.
“E ora come faccio? Dovevo tornare a lavoro, domani c’era una riunione importante,…” cercò di farfugliare Agatino, “…ma così ho modo di porterti rivedere, vero?”
“Certo! Ci vediamo a pranzo più tardi” concluse Paola.
Finalmente giunse il comunicato ufficiale dell’Enac: “Si informano i gentili passeggeri in volo da e per Catania, che a causa della presenza in cielo di cenere proveniente dall’Etna, tutti i voli sono stati cancellati fino a domani alle ore 24. L’Enac, entro domani pomeriggio, a seguito di verifiche e accertamenti in volo delle condizioni di sicurezza dei cieli, si riserva di dare ulteriori sviluppi della situazione. Siamo spiacenti per l’inconveniente ma le cause non sono da addebitarsi al sistema di trasporto aereo”
Il comunicato fu trasmesso con gli altoparlanti in tre lingue: italiano, inglese e spagnolo.
Una comitiva di francesi, presenti in aeroporto in attesa di imbarcarsi per Parigi dopo una settimana di scialo in Sicilia, insorse perché non fu ripetuto il comunicato anche in francese, l’unica lingua a loro modo, degna di rispetto mondiale.
Una volta!!
Agatino e tutto il suo seguito, si rimise in cammino, con devoto silenzio dietro il mancato viaggiatore verso il parcheggio delle automobili.
In realtà, la circostanza non turbava più di tanto il dott. Sapuppo, che all’idea di potere trascorrere ancora un giorno in compagnia di Paola, dimenticò velocemente il lavoro, il meeting e tutti i casini che aveva lasciato in azienda.
Come promesso, Paola, si palesò all’ora di pranzo a casa di Agatino. Aveva chiesto al suo datore di lavoro, l’Avv. Pietro Sanfilippo, noto civilista del foro catanese, un a pausa pranzo più lunga del solito….motivi di famiglia.
Agatino, l’ha chiesto per….motivi di famiglia!! Inteso?
Si presentò con un cappotto grigio, lungo oltre il ginocchio, un cappello a falda grigio, sciarpa di cashmire grigio. Sotto il cappotto indossava un tailleur blu con camicia bianca e uno stivale con tacco da 8 cm.
Gli abiti erano griffati, ma fossero stati di merceria, su quel corpo bello e slanciato non avrebbero sfigurato.
Una vera professionista, non c’è che dire!
Agatino, al contrario, quel giorno, potenzialmente di viaggio, indossava un jeans azzurro e una polo arancio, con una felpa sportiva sopra. Per scarpe, come sempre in inverno, usava per il tempo libero quelle da trekking.
Vista la differenza di stile, Agatino, provò a chieder qualche minuto per andarsi a cambiare, ma Paola lo bloccò subito. Quello che conta è il contenuto non il contenitore.
Decisero così di uscire, con Agatino che interpretò subito la parte del body guard sportivo a guardia della vip.
Andarono in una semplice trattoria che Paola conosceva bene, perché c’era andata parecchie volte coi suoi amici, e dove Agatino una volta quando era giovane aveva svuotato, per scommessa, parecchie bottiglie di vino tornandosene poi a casa ubriaco come una spugna.
Ma erano altri tempi!
Gustarono con calma, tranquillità e letizia un bel piatto di spaghetti alla norma e una fetta di pesce spada fresco marinato, accompagnati da un fresco vino bianco prodotto alle pendici dell’Etna.
Parlarono tanto, di tutto e di tutti, della loro vita passata, della presente e della futura. Si confessarono desideri e angosce.
Ma soprattutto si guardarono tutto il tempo negli occhi.
E quegli occhi parlavano!!
Avrebbero potuto anche tacere e gustarsi solo il pranzo: gli occhi avevano tessuto una tela che le parole difficilmente erano capaci di creare.
L’azzurro scuro degli occhi di Paola contrastava con il marrone degli occhi grandi di Agatino, ma assieme creavano una unità: cielo e terra si incontravano. I colori della loro amata Sicilia erano lì, seduti di fronte, nel lembo di una tovaglia a quadri di una piccola trattoria di San Giovanni Licuti.
In un paio d’ore, il vulcano fece quello che di solito richiede qualche giorno. Una leggera ma intensa scossa di terremoto, quindi una densa fumata con una lunga colonna di cenere, infine, nelle primissime ore del mattino cominciò l’attività eruttiva. Tutto partì e si svolse ad alta quota, a partire dal cratere di 3065 m, ma la colata, come sempre viscosa e lenta, fu carica di magma. Uno spettacolo in quella notte stellata vedere una lingua di fuoco che spuntava dal nero del vulcano!
Ma i catanesi e i loro vicini ci sono abituati ai terremoti e alle eruzioni dell’Etna. Basta pensare che la stessa città è stata distrutta sette volte e otto volte ricostruita nella stessa area.
Testardi ‘sti catanesi! O legati fino in fondo alla loro terra e alle loro tradizioni?
Ma la fumata fu oltre ogni peggiore previsione: il pennacchio di fumo che si erge dal cratere rende scenografico il vulcano, significa che è vivo e sta bene. Di solito si vede da notevole distanza, e se c’è il cielo terso già dalle Madonie si coglie la particolarità della colonna di fumo e a seconda di dove è orientata si capisce da dove tira il vento. Stavolta, però, dal satellite non si vedeva la Sicilia ma una macchia scura che copriva l’isola, Lampedusa, Linosa, Malta, la Tunisia, l’Algeria e si dirigeva velocemente verso la parte orientale del bacino del Mediterraneo. In poche ore sarebbe arrivata fino in Turchia.
La cenere, fine come il borotalco, è affare assai delicato da trattare.
Una volta caduta a terra rende la superficie scivolosa, come se si camminasse sul sapone o sul ghiaccio. Sulle strade è vietata la circolazione dei veicoli a due ruote, la velocità delle auto è ridotta a 40km/h, i marciapiedi, soprattutto per i gli anziani e per i bambini si trasformano in vere e proprie rampe di lancio. Le cadute sono, purtroppo, frequenti, e in quei giorni il lavoro per il pronto soccorso degli ospedali aumenta all’improvviso.
Purtroppo non esistono gli spazzaceneri, e pertanto si puliscono le vie con gli automezzi lava strade. La prudenza è l’unica arma per combattere i pericoli della cenere.
Inoltre, la cenere, è corrosiva e pertanto ogni buon automobilista deve velocemente lavare la macchina una volta che è finita la pioggia di cenere.
Ma il silicio contenuto nella polvere la rende anche abrasiva, per cui se la cenere impatta con un corpo a velocità tende a levigarlo. Succede così agli aerei, le cui turbine, in particolare sono a rischio.
Quella sera, ne cadde così tanto che sia la IATA che l’ENAC furono costretti a bloccare il traffico aereo su tutta l’area del bacino del Mediterraneo, da est a ovest, dalle Alpi al Sahara.
Fu così che l’indomani, quando Agatino si presentò con tutta la processione di parenti e vicini di casa, all’aeroporto di Fontanarossa, trovarono un caos enorme di persone che non sapevano se partivano o se restavano. Le notizie che si susseguivano erano molteplici, anche contraddittorie, ma nessuna ufficiale. Questo creava tensione e malcontento e ci volle poco perché a qualcuno si riscaldassero gli animi. Le forze dell’ordine presenti riuscirono a calmare i più esagitati.
Agatino, era in mezzo a tanta gente, circondato dai “suoi” fedeli. Ma gli mancava una persona. Si tendeva il collo, per essere più alto degli altri, e vedere il più lontano possibile. Ma non scorgeva il profilo che desiderava.
Possibile? Ha vissuto un sogno? Erano parole al vento?
La sua testa, come sempre tendeva ad andare per la tangente, ma il suo cuore lo teneva fermo sulle sue certezze. Se Paola non c’era un motivo doveva esserci, e non valeva la pena perdere tempo con illazioni e dubbi insignificanti.
Nella calca del momento, il cellulare di Agatino cominciò a suonare. Ad ogni numero di donna, aveva associato, come suoneria il ritornello della canzone “Certe notti” di Ligabue, al numero di Paola, invece, il ritornello della canzone “Mi sei scoppiato dentro al cuore” interpretato da Mina. E infatti, questo fu il suono che si cominciò a sentire.
D’improvviso, il cuore di Agatino cominciò a pulsare che sembrava scoppiasse davvero, e le dita delle mani cominciarono a tremare che a fatica riuscì a schiacciare il pulsante “rispondi” del cellulare.
“Pronto?”, disse Agatino ben sapendo con chi parlava
“Ciao Amore mio!”, rispose una voce delicata dall’altro lato
“Avrei desiderato tanto che fossi qui a salutarmi”, ribattè Agatino un poco imparpagliato.
“Ma tanto non parti!”, proseguì gioiosa Paola.
“Come fai a dire questo?” chiese Agatino
“L’ho sentito stamattina in TV. Infatti mi stupisco che tu sia all’aeroporto!. Hanno chiuso lo spazio aereo fino a domani sera, per i rischi che provoca la cenere!” spiegò Paola.
“E ora come faccio? Dovevo tornare a lavoro, domani c’era una riunione importante,…” cercò di farfugliare Agatino, “…ma così ho modo di porterti rivedere, vero?”
“Certo! Ci vediamo a pranzo più tardi” concluse Paola.
Finalmente giunse il comunicato ufficiale dell’Enac: “Si informano i gentili passeggeri in volo da e per Catania, che a causa della presenza in cielo di cenere proveniente dall’Etna, tutti i voli sono stati cancellati fino a domani alle ore 24. L’Enac, entro domani pomeriggio, a seguito di verifiche e accertamenti in volo delle condizioni di sicurezza dei cieli, si riserva di dare ulteriori sviluppi della situazione. Siamo spiacenti per l’inconveniente ma le cause non sono da addebitarsi al sistema di trasporto aereo”
Il comunicato fu trasmesso con gli altoparlanti in tre lingue: italiano, inglese e spagnolo.
Una comitiva di francesi, presenti in aeroporto in attesa di imbarcarsi per Parigi dopo una settimana di scialo in Sicilia, insorse perché non fu ripetuto il comunicato anche in francese, l’unica lingua a loro modo, degna di rispetto mondiale.
Una volta!!
Agatino e tutto il suo seguito, si rimise in cammino, con devoto silenzio dietro il mancato viaggiatore verso il parcheggio delle automobili.
In realtà, la circostanza non turbava più di tanto il dott. Sapuppo, che all’idea di potere trascorrere ancora un giorno in compagnia di Paola, dimenticò velocemente il lavoro, il meeting e tutti i casini che aveva lasciato in azienda.
Come promesso, Paola, si palesò all’ora di pranzo a casa di Agatino. Aveva chiesto al suo datore di lavoro, l’Avv. Pietro Sanfilippo, noto civilista del foro catanese, un a pausa pranzo più lunga del solito….motivi di famiglia.
Agatino, l’ha chiesto per….motivi di famiglia!! Inteso?
Si presentò con un cappotto grigio, lungo oltre il ginocchio, un cappello a falda grigio, sciarpa di cashmire grigio. Sotto il cappotto indossava un tailleur blu con camicia bianca e uno stivale con tacco da 8 cm.
Gli abiti erano griffati, ma fossero stati di merceria, su quel corpo bello e slanciato non avrebbero sfigurato.
Una vera professionista, non c’è che dire!
Agatino, al contrario, quel giorno, potenzialmente di viaggio, indossava un jeans azzurro e una polo arancio, con una felpa sportiva sopra. Per scarpe, come sempre in inverno, usava per il tempo libero quelle da trekking.
Vista la differenza di stile, Agatino, provò a chieder qualche minuto per andarsi a cambiare, ma Paola lo bloccò subito. Quello che conta è il contenuto non il contenitore.
Decisero così di uscire, con Agatino che interpretò subito la parte del body guard sportivo a guardia della vip.
Andarono in una semplice trattoria che Paola conosceva bene, perché c’era andata parecchie volte coi suoi amici, e dove Agatino una volta quando era giovane aveva svuotato, per scommessa, parecchie bottiglie di vino tornandosene poi a casa ubriaco come una spugna.
Ma erano altri tempi!
Gustarono con calma, tranquillità e letizia un bel piatto di spaghetti alla norma e una fetta di pesce spada fresco marinato, accompagnati da un fresco vino bianco prodotto alle pendici dell’Etna.
Parlarono tanto, di tutto e di tutti, della loro vita passata, della presente e della futura. Si confessarono desideri e angosce.
Ma soprattutto si guardarono tutto il tempo negli occhi.
E quegli occhi parlavano!!
Avrebbero potuto anche tacere e gustarsi solo il pranzo: gli occhi avevano tessuto una tela che le parole difficilmente erano capaci di creare.
L’azzurro scuro degli occhi di Paola contrastava con il marrone degli occhi grandi di Agatino, ma assieme creavano una unità: cielo e terra si incontravano. I colori della loro amata Sicilia erano lì, seduti di fronte, nel lembo di una tovaglia a quadri di una piccola trattoria di San Giovanni Licuti.
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