giovedì 9 luglio 2009

Di Mungibeddu tutti semu figghi....

“Di Mungibeddu tutti semu figghi…..”
Così recita la prima riga di una nota canzone della tradizione siciliana.
Per chi come me ha vissuto per oltre 25 anni alle pendici dell’ Etna, conosciuta anche come Mungibeddu (che deriva da due parole, una latina Mons e una araba Gibel, che significano Monte Monte), o ‘A Muntagna (in particolare per i catanesi), questo vulcano è qualcosa di carnale, parte della propria esistenza.





Ho molti ricordi legati all’Etna, sin dalla prima infanzia, quando con i miei genitori andavamo in giornata a fare la gita in montagna. Ma sono gli anni della gioventù e dell’Università che mi evocano i momenti più belli.
Già negli anni del liceo, in estate, era tradizione, con alcuni amici e compagni di scuola, fare il giro dell’Etna a piedi attraverso i sentieri montani: si camminava di notte per via della frescura, guidati dalla luna e dalla luce delle torce elettriche. Carichi dello zaino con viveri e giacche camminavamo per due giorni, intonando spesso canti alpini o fischiettando nenie della tradizione siciliana.
Ma l’amore passionale per il vulcano è iniziato a giugno del 1990, quando, con alcuni compagni di scuola, accompagnati da un mio amico fisico astronomico dell’Università di Catania siamo andati all’osservatorio di Serra La Nave, sull’Etna, per guardare da vicino la luna, che quella sera si è mostrata in tutta la sua bellezza. Subito dopo, il mio amico ci ha presentato la volta celeste guidandoci passo dopo passo nel percorso di conoscenza delle stelle e delle costellazioni: la semplicità con cui ci muoveva era superiore al miglior vigile urbano che spiega la toponomastica della sua città. L’ Universo infinito quella sera era diventato amico, ciò che fino ad allora per me era ignoto, semplicemente un ammasso di stelle senza nome e origine, aveva una identità. Troppo bello quello che abbiamo visto, tanto che per molti giorni con i compagni ne abbiamo parlato senza poter fare a meno la sera di alzare lo sguardo e guardare la volta celeste. Di recente l’esperienza più spettacolare l’ho vissuta nella agosto del 1998 quando l’Etna era in piena attività stromboliana.
Ero da poco tornato a casa in vacanza e alcuni amici mi proposero di fare una passeggiata sul vulcano nel tentativo di avvicinarsi il più possibile al cratere e passare la notte lì. Anche in questo caso tra noi c’era un amico che lavora come vulcanologo presso l’istituto di Vulcanologia dell’Università di Catania. Questo ci ha permesso di superare i limiti imposti per motivi di sicurezza dalle Autorità preposte. La giornata, a Catania, era molto calda (circa 38 gradi) ma già a 2000 m, al Rifugio Sapienza, il vento forte rendeva la temperatura piuttosto frizzante. Man mano che salivamo di quota il vento diventava sempre più freddo e fastidioso da sopportare. Però, il vento aveva spazzato via tutto lo smog e l’afa: vedevamo buona parte della Sicilia orientale, oltre Siracusa, e la Piana di Catania e i paesi etnei e la stessa città di Catania sembravano a portata di mano. Lo sfavillio delle luci della città a contrasto con l’orizzonte blu scuro del mare rendevano l’ambiente incantevole. Giunti a quota 2800 circa, all’improvviso l’Etna ha dato spettacolo, il meglio di sé, lanciando in aria lapilli e lingue di fuoco con continuità e senza interruzione. Tutto a poca distanza da noi, fantastico! Purtroppo, per ragioni di sicurezza e per il freddo insopportabile siamo stati costretti a tornare indietro al chiaror di luna.
Nell’agosto del 2001 un altro momento unico: l’Etna aveva da poco concluso una lunga attività eruttiva che aveva sfiorato per l’ennesima volta il rifugio Sapienza, lambito dal letto di lava. Con la mia fidanzata e due amici abbiamo percorso una parte della colata, risalendola e costeggiandola sulla destra. In verità mi sono spinto oltre, perché sono salito sulla colata e mi sono seduto al centro. La lava dell’Etna ha una caratteristica tipica: si raffredda velocemente in superficie dando origine a fenomeni di ingrottamento entro cui scorre la lava calda. La sensazione di sentire sotto di me un mondo in movimento era davvero eccezionale: sembrava di stare seduto su un ammasso di bottiglie di vetro che muovendosi si frantumavano!! In quel mondo apparentemente infernale, con il fumo del calore che usciva da tutti i pori delle rocce, provavo comunque una forte sensazione di benessere e tranquillità…forse perché le chiappe stavano calde….o forse perché c’era un silenzio assordante con il sottofondo delle rocce in movimento!!
Beh, se l’Inferno fosse così…non oso immaginare cosa sarà il Paradiso.


Il prossimo obiettivo è raggiungere il cratere Centrale (3263 mslm), a piedi: sto cercando compagni d’avventura per affrontare questa nuova esperienza senza dubbio affascinante e stimolante. ;-)

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