martedì 26 gennaio 2010

Le avventure del dott. Sapuppo n.5

Finalmente, giunse il giorno della partenza per la Sicilia.
Obiettivo, andare al matrimonio della cugina. Purtroppo!!
La sveglia suonò senza rispetto alle 4,00 in punto.
Drin, drin, drin….drin,drin!
Per fortuna che la sveglia non si stanca mai di suonare, ma se avesse potuto parlare, certo che, qualche strana bestemmia l’avrebbe mandata al dott. Sapuppo!!
Sveglio, ma non cosciente, si alza, va in bagno e si fa la doccia. Quindi, ancora tra le braccia del dio Sonno, si veste, prende il borsone ed esce di casa: davanti al cancello lo attendeva un taxi.
Il viaggio fu breve a quell’ora, sufficiente però per una breve pennichella, mentre il tassista dallo specchietto retrovisore lo guardava e rideva sotto i baffi.
Ma pirchì ride sto tassista? Boh!
Arrivato a Malpensa, muovendosi come fosse ubriaco, Agatino si dirige al box della compagnia aerea albanese.
“Ma dove si trova questo check in?”, si chiese Agatino.
Dire che era in un posto dimenticato da Dio è un gentile eufemismo!!
Ad accoglierlo c’è una signorina che indossa un abito rosa confetto, capelli biondi platino, evidentemente colore non naturale, alta circa 1,60 m, di corporatura maschile. Un vero panzer!....che a vedere il dott. Sapuppo si mise a ridere di nascosto.
“Puongiorno signore, mi tica?”…e intanto rideva.
“Agatino Sapuppo, ho un biglietto per Catania”
“Antonino Sacucco?....si, ecco, Gate 22, Terminal 1, imbarco ore 5,50”….e intanto rideva.
“Non solo di mattina presto, ma anche Terminal 1?...che mattina di merda!”
“Como? Non abere capito!”….e intanto rideva.
“Niente, grazie!” rispose Agatino,.....”Ma cchi minchia ride?”, pensò lo stesso ad alta voce.
Il volo fu una vera odissea fin dall’inizio: per arrivare al vettore il bus dovette attraversare tutto l’aeroporto di Malpensa, per ottenere l’autorizzazione al volo fu necessario implorare in cinese un assistente di volo, quindi cominciò la fase di rullaggio. Pareva di stare su un vecchio barcone arrugginito: i finestrini poco puliti, alcuni sedili bloccati, non parliamo poi dei tavolinetti porta oggetto, ogni due file ce n’era uno funzionante.
Non è che questa compagnia aerea albanese è gestita da scafisti veterani dell’Adriatico?
Giunto, per fortuna, a CT, ad attenderlo all’aeroporto c’erano suo padre, sua madre, lo zio Salvatore, la zia Giuseppina, il cugino Sebastiano, il vicino di casa il sig. Cuius, la vedova Buttafuoco, don Paolo Sammartino,….presente per benedire la venuta di Agatino in Sicilia!
Due macchine piene per accogliere una persona.
Benvenuto in Terronia!!
Il padre: “Figghiu miu, ti agghiancanu i capiddi?”
La madre: “Figghiu miu, ma comu ta vistutu ?”
Il cugino: “Beddu miu, quant’avi ‘ca nun scinni o paisi?”
La vedova: “Ma quantu ta fattu ranni? Mi rioddu di quannu erutu nicu….!”
Il prete: “Lodatu sia u Signuri, picchì ti vosi fari turnari!!”
Solo allora Agatino si accorse di essersi vestito nel seguente modo: pantalone a quadri bianco blu, camicia a righe verticali gialle, cravatta a righe orizzontali, maglione verde, mocassino marrone, cappotto color cammello.
Manco per carnevale una accozzaglia del genere!!!....ecco perché tutti ridevano!
Come in processione le due macchine giunsero a casa Sapuppo, a San Giovanni Galermo: il roseto piantato e mantenuto per tanti anni da Agatino era ridente, l’albero di limoni era già grande, in più, nell’orto botanico di casa Sapuppo, era spuntato un potus davvero enorme. Per il resto la casa era come l’aveva lasciata molti anni prima, stesso arredamento, stessi sopra mobili, stessi quadri, ancora più statue della Madonna: oltre quella di Lourdes, di Fatima, di Medjugorie, di Civitavecchia, di Siracusa e di Montallegro si era aggiunta la Virgen de Guadalupe, gentile regalo della vicina Addolorata che era stata in Messico per il suo 10° anniversario di matrimonio. Non mancava, naturalmente, la statuetta di S. Agata.
La stanza di Agatino era un museo: sembrava fosse stata congelata nel tentativo di mantenere intatto tutto quanto ci fosse là dentro. Anche le lenzuola erano quelli in cui aveva dormito ai tempi dell’Università. Ma erano profumati, segno che la mamma aveva cura del museo agatino!!
La giornata trascorse tra le visite dei parenti e degli amici, giunti a casa Sapuppo, come i pastori alla grotta di Betlemme. Potè fare solo pochi passi fuori casa, continuamente interrotti da vicini e conoscenti che lo fermavano. Sembrava di stare in campagna elettorale!! Tutti a domandare, salutare, chiedere, informarsi, raccomandarsi per un posto di lavoro al nord. E siamo ancora all’inizio, figuriamoci domani al matrimonio.
L’indomani arrivò!
La sveglia fu data dalla mamma alle 6,00 di mattina. Ma se il matrimonio era alle 11,00 perché cominciare a rompere così presto?
C’era da farsi la doccia, c’era da andare dal parrucchiere, c’era da farsi ritoccare dall’estetista, c’era da andare dalla sarta per gli ultimi ritocchi all’abito, c’era da andare a casa della sposa per fare qualche foto con la promessa, c’era da andare in chiesa prima degli altri per prendere i primi posti.
Quindi, sull’attenti!
Agatino aveva solo da docciarsi, radersi, fare colazione e vestirsi…speriamo meglio del giorno precedente! Lento come un bradipo cominciò a muoversi per casa, mentre la madre era uscita e il padre dietro di lei ad accompagnarla.
Alle 10,30 era già in chiesa con i genitori, in terza fila dietro i testimoni e i genitori della sposa, nel suo abito grigio chiaro con camicia bianca, cravatta blu, mocassino marrone e orologio d’oro.
Lo sposo, Calogero Manduca, indossava un abito per cerimonia blu scuro, traslucido che potevi specchiarti, camicia violetta, cravatta blu a palline viola, scarpa di coccodrillo marrone con punta lunga. Capelli gellati, rasato con basetta lunga e stretta fino al mento. Occhiale con montatura rossa e vetro fumè.
La sposa, Nunzia Cucuzza, che dalla natura non aveva ricevuto la grazia di un corpo femminile, indossava un abito lungo, colore avorio, con uno strascico da fare invidia a un sovrano, e un decolté mozzafiato, a rischio tetta di fuori, che fece rabbrividire gli invitati e il prete che celebrava.
Non indossava scarpe ma trampoli, visto quanto era alta. Non era truccata, era dipinta ad acquerello! La pettinatura, vertiginosa, teneva grazie a una decina di bombolette di lacca spruzzate sopra.
Il prete, che li conosceva dai tempi del catechismo, era molto emozionato e parecchie volte si impappinò durante la funzione. Tanto che nella formula matrimoniale, a suo dire sposò Calogero con se stesso e Nunzia con se stessa. Naturalmente accortosi dell’errore, ripetè il rito.
Dopo un’ora e mezza di funzione, di cui oltre quaranta minuti di predica, i due sposi uscirono dalla chiesa, sommersi da chilate di riso, coriandoli che cadevano dal campanile della chiesa e fuochi di artificio sparati ad hoc.
I due, a bordo di una 600, vecchio modello, si avviarono verso il parco dove fare le foto.
A questo punto non rimaneva che avviarsi con molta calma verso il luogo del ricevimento. Sull’auto di papà, una vissuta Tempra 1.6 a benzina, colore rosso, Agatino, con mamma e papà, insieme alla zia Antonietta e il piccolo Mauro, partirono per Bronte, piccolo paese etneo, famoso per i pistacchi e per i torroncini del Cavaliere Condorelli.
Il luogo scelto per la festa, una antica dimora nobiliare usata come riserva di caccia, si prestava bene per la giornata: assolata ma fresca, con un pizzico di tramontana che rischiava di fare volare qualche cappello dei numerosi invitati.
Invitati? Un popolo!
I matrimoni terroni impongono che vengano invitati i parenti fino alla 6° generazione, sia che risiedano in loco che all’estero, i vicini di casa, il medico della mutua, il notaio amico del vicino (può servire!), conosciuto 10 anni prima in occasione del rogito della casa, l’amico avvocato (non si sa mai!), il prete della parrocchia (meglio avere amici in paradiso!), il direttore di banca in cui si ha il conto corrente, gli amici dei genitori, gli amici degli sposi.
Il numero medio varia tra le 250 e le 350 persone. Il matrimonio di Calogero e Nunzia aveva 312 invitati presenti!
Quando partirono dal paese, il corteo di auto che si era formato fu così lungo che un povero pedone che doveva attraversare la strada fece in tempo a recitare una decina di rosario prima di passare dal lato opposto.
E quando le auto arrivarono al banchetto, per risolvere l’ingorgo che si formò al parcheggio fu necessario chiamare una pattuglia di vigili urbani e una squadra della protezione civile per distribuire bottigliette d’acqua per i “viaggiatori”!

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