Partiamo da casa mia il 28 agosto intorno alle 10,00. La giornata è splendida, assolata e calda. Il viaggio di trasferimento a Gressoney la Trinitè è tranquillo e poco trafficato. Giunti al parcheggio, ci cambiamo e passiamo in rassegna tutto il materiale necessario per l’ascensione. Quindi, ci carichiamo lo zaino in spalla e ci avviamo verso gli impianti di risalita. Con due cabinovie (Stafal- Gabiet, la prima, Gabiet – Passo dei Salati, la seconda) e una funivia (Passo dei salati – Punta Ildren) giungiamo a quota 3200m circa. Per arrivare al rifugio dobbiamo percorrere un sentiero, in parte su ghiacciaio, in parte su roccia attraverso passaggi irti ma attrezzati che affrontiamo in circa un’ora. Il rifugio Gnifetti è situato a circa 3600 m di quota. Il tempo è bello, c’è il sole e fa abbastanza caldo. L’altitudine non dà alcun fastidio, certo, occorre fare i movimenti un po’ più lentamente, soprattutto quelli in verticali, perché la testa gira un po’. Gli ospiti siamo un centinaio, molti i gruppi accompagnati da guide alpine di Alagna. La stellata notturna è fantastica grazie al cielo terso. La notte, purtroppo è insonne, non solo per me ma anche per il mio compagno di cordata. La quota e soprattutto la tensione per l’ascensione da affrontare si fanno sentire. Anche stavolta, la sveglia alle 4, è vista come una liberazione e velocemente mi lavo, mi vesto e mi preparo per la colazione. L’intenzione è partire velocemente per essere tra i primi sulla via e sperare di arrivare presto alla capanna Margherita. Ma si sa, i programmi sono fatti per essere disattesi. Cosicchè, i crampi prima e altri problemi intestinali dopo, ritardano di molto la partenza della mia cordata. Sono grato al mio compagno “di viaggio” per la pazienza che ha mantenuto, avrebbe potuto legarsi all’altro gruppo e lasciarmi al rifugio!
Finalmente alle 6 sto meglio: decidiamo di legarci e prepararci. Quando ci avviamo, già molte cordate ci precedono, e purtroppo il passo è sin dall’inizio lento e continuamente interrotto. Superata la parte crepacciata, piuttosto insidiosa, poiché guido la cordata propongo al mio compagno di tenere un passo regolare e più veloce, così da superare molti che ci stanno davanti. Mentre gli altri compagni rimangono indietro, più tardi rinunceranno a salire e ritorneranno indietro, noi cominciamo la nostra marcia a tappe forzate. Siamo inarrestabili, passo dopo passo, superiamo molte cordate e decidiamo di fermarci, qualche minuto, una sola volta su un’area pianeggiante per bagnare le labbra secche e rosicchiare qualcosa. Riprendiamo con il ritmo di prima e così proseguiamo fino a 50 m dall’obiettivo.
All’improvviso il buio davanti a me. La benzina è finita! A secco! A 10 min dalla capanna, un ultimo strappo di 50m, la mia forza motrice è pari a zero. Le gambe ci sono, ma il fiato no. Proseguo molto lentamente, ogni due passi faccio una pausa, il ritmo è davvero lento. Qualche cordata riesce a ricuperarci.
Solo il desiderio di arrivare in cima e la pretesa di vedere il panorama di lassù mi consentono di tirare una gamba dietro l’altra e arrivare a destinazione. Alle 10 siamo alla capanna Margherita, 4559m. Sono sul rifugio più alto d’Europa!!!. C’è molto vento e la temperatura è piuttosto bassa. Ma c’è il sole e questo fa la differenza!
Dopo il primo minuto di affanno, riprendo consapevolezza e comincio a godermi istante per istante quei momenti. Un thè caldo, meglio, un lontano parente del thè, annegato nello zucchero mi ridà linfa vitale tanto che esco sul balcone per scattare qualche foto. Sembra di stare su un aereo, tutto dall’alto, l’orizzonte è proprio lontano. Il panorama è da urlo, la vertigine fa novanta, lo spettacolo è da godere in toto.
Al momento di partire assistiamo all’atterraggio di un elicottero, venuto su per portare i viveri di prima necessità, da brividi per il forte vento, ma la grande abilità del pilota ha reso quel gesto degno del migliore manuale.
Riprendiamo la discesa con ritmo sostenuto, che però man mano che ci si avvicina al rifugio Mantova, luogo di ricongiungimento con gli altri compagni, si fa sempre più lento. Il passo pesante, il corpo stanco, lo testa vuota……ma no!!, un piede comincia a fare male, anzi, il mignolo del piede destro comincia a dolere sempre di più.
Maledetto mignolo, mi costringi a fermarmi un paio di volte!!
Giungo al rifugio Mantova che sono esausto e col mignolo dolorante. I compagni, al vedermi prostrato, non tardano a lanciarmi le solite battutine: “sei come un bambino, parti correndo e poi non sapendo gestire le forze arrivi morto!”
Già, sono come un bambino: ho fame di conoscenza, voglio vedere e imparare sempre più cose.
E questo a volte gioca brutti scherzi. La mia bibita “drogata” (Gatorade al limone!) e una stecca di cioccolata mi rimettono in sesto, cosicchè senza particolari problemi ci avviamo verso gli impianti di risalita.
L’arrivo in macchina è, per le mie spalle e per il mio mignolo una liberazione….gli consento di stare all’aria per tutto il viaggio di ritorno!!!
Arrivo a casa davvero contento: l’ascensione è stata molto bella, non perché sono arrivato a 4559m, anche!, ma perché ho goduto di uno spettacolo eccezionale, circondato da una natura apparentemente indifferente, potrei dire gelida!!, ma in realtà viva, che per il solo fatto di esserci e di avermi visto protagonista m’ha dato modo di riconoscere che tutto quanto è dono.
Anche stavolta c’ho provato: ho messo in moto tutte le mie capacità e i miei strumenti per compiere un’ascensione. Aver potuto godere dei profili delle montagne da quella quota è stato un grande dono!!.
Nessun commento:
Posta un commento