martedì 23 marzo 2010

Cosa c'entra la bellezza col lavoro?

Cosa c’entra la bellezza con il lavoro? Sono due parole in antitesi o è possibile trovare un punto in comune? Si può fare qualcosa di bello attraverso il lavoro? Il lavoro porta al raggiungimento del bello? Può la bellezza essere un aiuto al lavoro?
La risposta a queste domande non è semplice, personalmente riesco solo ad abbozzarle, di sicuro ci sono persone che hanno una consapevolezza maggiore della mia e che sono in grado di dare risposte convincenti su questo argomento. Uno è don Julian Carròn, responsabile della Fraternità di Comunione e Liberazione, l’altro è Sua Santità Benedetto XVI.
Don Carròn, in un suo intervento all’assemblea generale della Compagnia delle Opere, tenutasi lo scorso dicembre ad Assago, ha cercato di spiegare cosa vuol dire che il lavoro di ognuno è un bene per tutti.
La tesi di don Carròn, che ha parlato di fronte a una vasta platea di imprenditori, professionisti, intellettuali, e gente comune è che viviamo in un mondo in cui domina l’individualismo, dove l’altro è visto come un ostacolo al raggiungimento della propria felicità. In una frase: io raggiungo meglio il mio bene se prescindo dagli altri. In questo ambiente in cui homo homini lupus l’unica via di salvezza è una compagnia di amici. La condizione perché l’uomo esca fuori dalla negatività dell’individualismo e diventi capace di sostenere l’ottimismo è una trama di rapporti che si riconoscono fondamentali per la propria felicità. Certo, ci sono dei rischi: per esempio, la tentazione di cadere sempre nell’individualismo è in agguato, oppure per opposto usare l’amicizia, ovvero anziché essere un sostegno all’io, diventa un progetto, un calcolo di successo, una forza egemonica contro altri basata sul potere. Invece, la convenienza della vita è la gratuità intesa come ricerca del bene, che diventa affezione, costruzione e capacità di accettare la correzione da altri di fronte alla caduta. Ma questo passo è possibile solo se si riconosce la presenza di Cristo come unica condizione per essere veramente liberi e superare l’individualismo. Quando la carità penetra negli interstizi dei nostri calcoli, dei nostri progetti allora il lavoro che facciamo diventa Bello.
In un periodo di crisi economica come quello che stiamo affrontando, dove tante aziende stanno chiudendo, troppe stanno riducendo con facilità il personale, molte ne stanno approfittando per liberarsi delle persone “poco in linea”, altre vengono vendute per assicurare alla famiglia proprietaria una rendita vitalizia, chi resiste è invece un eroe. Ci sono imprenditori che hanno grande attenzione per le persone con cui lavorano, hanno forte passione per il lavoro che fanno, amano il prodotto o servizio che realizzano, indipendentemente da cosa esso sia, investono capitale proprio, riducono i margini, non dividono i pochi utili, stringono i denti ma vanno avanti e non mollano.
Barcollano, ma non mollano!!
L’esperienza di alcuni imprenditori che conosco o di cui ho letto mi ricordano le vicende raccontate da Eugenio Corti ne “Il Cavallo Rosso” circa una famiglia di industriali brianzoli, che all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, di fronte alla crisi anziché chiudere, al contrario, investono e acquistano altri macchinari per rilanciare l’azienda e conservare il posto di lavoro dei dipendenti.
Ci sono volti di persone, che conosco direttamente, che mi dimostrano che è possibile fare qualcosa di bello attraverso il lavoro e che la bellezza di quello che fanno è un motore per continuare a lavorare.
Tutto questo attraverso e nonostante le circostanze quotidiane.

Anche Benedetto XVI spesso è intervenuto sul concetto di bellezza: un po’ di tempo fa in un incontro organizzato con gli artisti di tutto il mondo.
Evento non nuovo, visti i precedenti di Paolo VI del 7 maggio 1964 e di Giovanni Paolo II nel corso del Giubileo del 2000.
Del discorso di Benedetto XVI, mi hanno particolarmente colpito le seguenti citazioni:
- “…Questo mondo nel quale viviamo ha bisogno di bellezza per non sprofondare nella disperazione. La bellezza, come la verità, è ciò che infonde gioia al cuore degli uomini, è quel frutto prezioso che resiste al logorio del tempo….” [Enchiridion Vaticanum, 1 pag.305, Paolo VI]
Questa frase è stata citata quarantacinque anni fa da Paolo VI in occasione dell’incontro con gli artisti. Rispetto ad allora penso che l’atteggiamento dell’uomo di fronte alla vita sia peggiorato. Apparentemente migliorato, perché ci si rifugia nel benessere, ma concretamente estraneo. L’uomo di oggi è, di fatto, privo di speranza e di fiducia. La fiducia è, per esempio, l’ultimo baluardo che sta cedendo per via della crisi economica.
E quindi, per ritornare alla tesi di Carron, l’uomo cade nell’individualismo.
Continuando nella lettura:
- “….Che cosa può ridare entusiasmo e fiducia, che cosa può incoraggiare l’animo umano a ritrovare il cammino, ad alzare lo sguardo sull’orizzonte, a sognare una vita degna della sua vocazione se non la bellezza?........L’autentica bellezza, invece, schiude il cuore umano alla nostalgia, al desiderio profondo di conoscere, di amare, di andare verso l’Altro, verso l’Oltre da sé. Se accettiamo che la bellezza ci tocchi intimamente, ci ferisca, ci apra gli occhi, allora riscopriamo la gioia della visione, della capacità di cogliere il senso profondo del nostro esistere….”
Citando, di seguito, Simone Weil: “….Il bello è la prova sperimentale che l’incarnazione è possibile. Per questo, ogni arte di prim’ordine è, per sua essenza, religiosa”.

Ma il passaggio che più mi ha scosso, perché ha posto una domanda su di me, è stata la citazione del poeta polacco Cyprian Norwid, riportato nella Lettera agli Artisti di Giovanni Paolo II, che dice: “La bellezza è per entusiasmare al lavoro, il lavoro è per risorgere”.

Quando ho letto questa frase ho provato un profondo senso di vertigine, perché contiene due verbi, entusiasmare e risorgere, che non fanno parte più del linguaggio comune. E’ difficile trovare uno che a lavoro provi entusiasmo. Al massimo soddisfazione, spesso legato a questioni economiche, talvolta piacere, ma mai entusiasmo. Cosa vuol dire risorgere? Lo immagino come un continuo sorgere, come il sole!
Ma risorgere da cosa?
Ci provo. Risorgere dal nichilismo, dal nulla, dalla superficialità, dal pessimismo in cui l’uomo tende a cadere.
Per questo è necessario che gli uomini lavorino, perché possano risorgere.
Personalmente, a lavoro, difficilmente provo entusiasmo, mi fermo spesso alla soddisfazione personale, al raggiungimento degli obiettivi, al buon mantenimento dei rapporti interpersonali……
E invece, la frase di Norwid dice qualcosa di grande, che mi ha colpito, perché esprime una domanda, il desiderio di essere inondati dalla bellezza e diventare più se stessi attraverso il lavoro.

Nessun commento:

Posta un commento