lunedì 31 agosto 2009

Libri letti n.1

Post n.1 sui miei libri letti di recente:


IN UN BATTER DI CIGLIA
di Malcolm Gladwell

“ Siamo abituati a concepire il pensiero come un processo con modalità e regole ben precise. E ci è stato insegnato che, prima di operare una scelta o di formulare un giudizio, è preferibile raccogliere e vagliare con cura il maggior numero di informazioni. Esiste però un'altra forma di conoscenza, tanto trascurata dalla teoria quanto universalmente praticata nella vita di tutti i giorni: quella prima, fugace idea che ci facciamo di qualcuno o di qualcosa e che ci spinge a dire, in un batter di ciglia, se possiamo fidarci della persona appena incontrata, o se un ambiente che non conosciamo è più o meno pericoloso. Tale attività di cognizione rapida che si svolge dietro la porta chiusa dell’inconscio e che si rivela spesso un indispensabile strumento di interpretazione della realtà, soprattutto nei momenti di emergenza, ha però un lato oscuro. La fretta e i pregiudizi, infatti, possono indurre uno stato di improvviso accecamento che fa associare, per esempio, l’altezza alla capacità manageriale o il colore della pelle alla criminalità”
Il libro di Malcolm Gladwell si legge con molta facilità, perché traduce in linguaggio quotidiano i dati provenienti dalle scoperte scientifiche mediante l’uso di aneddoti e personaggi singolari.
Io, per esempio, sono stato catturato da questo libro, perché ha come sviscerato due aspetti con cui convivo quotidianamente: la necessità di avere quante più informazioni possibili per arrivare a una conclusione, così come la capacità di affidarmi all’intuizione e alle emozioni quali strumento di conoscenza.
E’ un libro appassionante che vale la pena leggere.







L’ULTIMA LEZIONE: LA VITA SPIEGATA DA UN UOMO CHE MUORE
di Randy Pausch e Jeffrey Zaslow

Mi sono imbattuto nella storia del dott. Randy Pausch (23/10/1960 – 25/07/2008) in maniera del tutto casuale: un giorno di febbraio del 2008 guardando il TG1 vedo il servizio riguardante l’”ultima lezione” che Pausch tenne davanti a centinaia di persone alla Carnegie Mellon University.
Mentre il cronista spiegava chi era Randy Pausch e quale fosse la malattia che lo aveva colpito, rimasi sbalordito dalle immagini: un “condannato a morte” che ride, scherza e fa le flessioni in aula.
“Come fa a ridere nonostante quello di cui è malato?” mi sono domandato.
“Anziché lasciare un testamento e compatirsi, costui parla della gioia di vivere……come è possibile?”
Mosso da questi interrogativi, ho prima visto il video su Internet, quindi sono corso in libreria ad acquistare il libro.


http://www.youtube.com/watch?v=ji5_MqicxSo

Riporto alcune righe scritte sulla copertina:
“Nell’agosto del 2007 il professore Randy Pausch scopre che il cancro contro il quale combatte lo condanna senza speranza. Sceglie di abbandonare l’università per stare vicino alla famiglia: la moglie Jai e i loro bambini, Dylan, Logan e Chloe, di 5,2,1 anno.
Ma prima, il 18 settembre, tiene davanti a 400 studenti e colleghi la sua ultima lezione, intitolata Realizzare davvero i sogni dell’infanzia e pensata come una sorta di lascito per i suoi figli….. E mentre racconta il destino di quei sogni (e l’importanza di avere dei sogni) il suo discorso diventa la testimonianza più toccante e profonda di una vita resa straordinaria dall’intensità con la quale è vissuta…..”
Dice ancora il dott. Pausch:
“ Non so come si fa a non divertirsi. Sto per morire e mi diverto. E ho intenzione di continuare a divertirmi per ogni singolo giorno che mi resta. Perché non c’è altro modo di vivere”.E’ un libro che vale davvero la pena di leggere, perché è un inno alla vita, capace di offrire adeguati spunti sulle ragioni per cui vale la pena vivere la vita in qualunque condizione.





L’ANNUNCIO A MARIA
di Paul Claudel

E’ un libro stupendo che tratta dell’amore in un modo che difficilmente ho avuto modo di apprezzare in altri libri.
L’amore, il sacrificio, il miracolo, sono i grandi temi che questo testo teatrale affronta attraverso le figure di Violaine, la ragazza bella e felice, Pietro di Craon, il genio costruttore, Anna Vercors, il padre saggio. Un vero capolavoro di Paul Claudel.
Riporto solo due passaggi che mi hanno particolarmente colpito:
“…Santità non è farsi lapidare in terra di Paganìa o baciare un lebbroso sulla bocca, ma fare la volontà di Dio, con prontezza, si tratti di restare al nostro posto, o di salire più alto…”
“…Forse che fine della vita è vivere? Forse che i figli di Dio resteranno con fermi piedi su questa miserabile terra? Non vivere, ma morire, e non digrossar la croce ma salirvi, e dare in letizia ciò che abbiamo. Qui sta la gioia, la libertà, la grazia, la giovinezza eterna!......Che vale il mondo rispetto alla vita? E che vale la vita se non per essere data? E perché tormentarsi quando è così semplice obbedire?....”


venerdì 21 agosto 2009

Escursione al Rifugio Payer

Quando la sveglia suona alle 7.05 non mi coglie di sorpresa, perché già da 10 minuti circa ero affacciato al balcone a guardare le cime dei monti baciati dal sole mattutino. Colazione piuttosto corposa, quindi la vestizione. Lo zaino è pronto dalla sera precedente.
Uscito di casa, do uno sguardo al rifugio Payer: è lì a 3020 m di quota che mi aspetta, alla destra dell’Ortles, che coi suoi 3950 m di quota è la vetta più alta delle Alpi Orientali.

Attraverso il piccolo paese di Solda, mi fermo un istante davanti la Chiesa per affidare la giornata che mi aspetta a Chi di dovere


riempio la borraccia alla fontana, quindi mi avvio per il sentiero n°4.

La giornata è stupenda, cielo terso e temperatura fresca. Le mie condizioni psico-fisiche sono buone, anche se ho avuto solo un giorno di tempo per adattarmi all’altitudine. Attacco il sentiero con il solito metodo: passo regolare e costante anche se un poco sostenuto.
Mi accompagna il silenzio mattutino del bosco che pian piano cede il posto al risveglio della natura.
Attraversata la zona boschiva affronto il lungo ghiaione che mi porta al rifugio Tabaretta (2556 m). L’ultimo strappo prima del rifugio è molto irto, micidiale per le gambe. Ma è utile a capire se si è in grado di affrontare il secondo tratto del cammino, verso il rifugio Payer.

Al Tabaretta





breve sosta, un sorso d’acqua, un pezzo di cioccolata, qualche foto, uno sguardo al Payer, quindi subito in cammino.
Riprendo il sentiero n°4, che snodandosi in salita lungo il ghiaione mi porta fino alla cresta per continuare quindi sull’altro versante: se fino a poco prima avevo alla mia destra la valle di Solda, di fronte, in lontananza, il passo Resia e alla mia sinistra la parete nord dell’Ortles, adesso ho alla mia destra la valle di Trafoi con il passo dello Stelvio in lontananza, e di fronte a me l’Ortles.

Il sentiero è piuttosto stretto

a strapiombo su Trafoi, e alcuni tratti possono essere affrontati con l’ausilio delle corde poste a sicurezza del sentiero. Il silenzio della natura lascia il posto al rombo delle auto e delle moto che salgono sullo Stelvio, che seppure lontane, per effetto dell’eco sembrano passare a pochi metri da me.
Il tratto finale è davvero faticoso: il sentiero si inerpica sulle rocce e il rifugio che vedo lì a poca distanza sembra inarrivabile.

Trovo la forza nel desiderio di arrivare, sostenuto dalle gambe che non mostrano segni di cedimento.
Con netto anticipo rispetto alle tabelle del CAI per la terza volta in pochi anni raggiungo il rifugio Payer. Lo spettacolo è incantevole, anche un cinico rimarrebbe affascinato dalla bellezza della natura che ha di fronte. Sotto di me c’è la valle di Solda (1875 m), di fronte c’è la Croda di Cengles (3375 m) e l’Angelo Grande (3521 m), leggermente a destra si vede il Cevedale (3769 m) e la Cima Solda (3376 m), alla mia sinistra, in lontananza, si intravede il lago Resia al confine con l’Austria, alle mie spalle c’è il passo dello Stelvio (2825 m). Alla mia destra, immenso e stupendo, si erge l’Ortles (3905 m).









Giunto al rifugio mi godo il meritato riposo, mentre arrivano alcuni alpinisti che qualche ora prima hanno raggiunto, in cordata, la cima dell’Ortles. Erano più che contenti, perché le favorevoli condizioni meteo hanno permesso loro di potere raggiungere la vetta senza particolari problemi concedendo anche la possibilità di foto meravigliose. Dopo un’ora circa decido di scendere: giunto al Tabaretta, che nel frattempo era pieno di gitanti, essendo in anticipo rispetto alla tabella di marcia decido di allungare il percorso raggiungendo la stazione di monte della seggiovia dell’Orso.
Da qui, ancora a piedi ritorno in paese.
Sintesi della giornata:
1) la salita al rifugio Payer è stata faticosa ma tranquilla, anche grazie alle eccezionali condizioni meteo.
2) Il paesaggio è stato di una bellezza indescrivibile. Bisognava esserci per capire!!!
3) Le gambe hanno retto bene, anche se la sera mi sono mosso come a rallentatore.
4) Al rifugio Payer ho gustato un ottimo Apfelstrudel e tra andata e ritorno ho bevuto oltre un litro di radler (birra più limonata) e quasi due litri di acqua.
Insomma, ne è valsa la pena, anzi, l’escursione ha rinverdito il mio desiderio di raggiungere l’Ortles entro i prossimi due anni.

mercoledì 5 agosto 2009

Bolo: be on the look out

Be on the look out significa grosso modo stare all’occhio.
E’ l’espressione tipica che usano i soldati americani durante i loro pattugliamenti in Iraq e Afganistan, che indica l’attenzione che prestano al servizio per cercare di ridurre al minimo i rischi di attentati nei loro confronti.
La parola d’ordine è essere desti, stare attenti, vigilare, vegliare sulla propria e altrui incolumità.
Ma possiamo benissimo applicare “stare all’occhio” a contesti di normale quotidianità.
Chi non si è mai sentito ripetere dai nonni, “occhio!”, oppure dai genitori, magari il sabato sera quando si esce con gli amici, “state attenti con la macchina….!”. Oppure sul posto di lavoro, quante volte tra colleghi si usano espressioni tipo “…occhio a quel collega….”,”….guarda avanti ma soprattutto guardati dietro…..!”.
Ma siamo costantemente in guerra? La vita è una perenne battaglia?
Di cosa devo essere armato per difendermi?....virtù,….armi,…..?
Il comandante delle forze armate USA, Gen. David Petraeus, ha scritto un trattato dal titolo “I 28 comandamenti della counterinsurgency” che sono state le sue linee guida con cui ha sconfitto Al Qaida in Iraq.
Nel comandamento n.1 utilizza i seguenti verbi, secondo me, in forma imperativa:

“Conosci il tuo orticello. Conosci la gente, l’economia, la storia, la religione e la cultura……Leggiti la mappa come fosse un libro……Sviluppa un modello mentale dell’area, uno schema di lavoro in cui inserire ogni pezzetto di conoscenza che acquisterai. Studiati gli appunti lasciati dal tuo predecessore……..comprendi qual è l’area di influenza……Condividi aspetti dell’area di operazioni…….Trascura queste conoscenze e finirai ucciso”.
Banalmente, un incontro di calcio, una partita di tennis puoi vincerle se e solo se sei allenato, puoi raggiungere la cima di un monte solo se “hai le gambe”, puoi scoprire le profondità del mare solo se “hai i polmoni”.
E l’allenamento implica un lavoro.
Quindi, per “stare all’occhio”, per avere uno sguardo pronto e attento devi stare in esercizio continuo.
Certo, l’istinto è importante, le capacità innate sono un dono, ma il lavoro è la condizione per raggiungere certi risultati.
Ma non basta!
Nel comandamento n.17 il Gen. David Petraeus scrive:

Preparati ai fallimenti. I fallimenti sono normali nella counterinsurgency come in ogni altra forma di guerra. Commetterai errori, perderai qualcuno, o occasionalmente ucciderai o imprigionerai la persona sbagliata. Puoi fallire nel costruire o espandere la tua rete. Se succede, non perderti d’animo. Torna semplicemente alla fase precedente del tuo piano e recupera l’equilibrio. E’ normale che nelle campagne di counterinsurgency qualche plotone faccia bene e qualche altro male. Non è necessariamente la prova di un fallimento. Dai ai comandanti locali la libertà di adattarsi alle condizioni locali. Crea l’elasticità che ti aiuta a sopravvivere ai fallimenti….”
Questo “comandamento” richiama a un modo di stare di fronte alle cose che va ben oltre il tecnicismo o l’atteggiamento psicologico.
Mi viene in mente che nella vita, quindi a lavoro, in famiglia, con gli amici…..è “normale” sbagliare, perché l’uomo per definizione non è perfetto.
Nel senso che puoi avere perso dei momenti, delle opportunità, delle persone molto care, ma non è vinta la possibilità di soddisfazione, di riscatto sulla vita. Perché la realtà, ti pone sempre e comunque altre circostanze che ti provocano e solo giocandoti con esse puoi verificare se ti corrispondono.
Ma cosa permette questo accadere continuo di fatti?Per qualcuno è un imponderabile, per altri sono pure coincidenze, per altri ancora è la propria forza di volontà, per chi Lo ha incontrato e riconosciuto si chiama Chiesa, una compagnia presente.