giovedì 25 agosto 2011

Ascensione sul Castore

Esiste davvero il mal di montagna? Chi viene colpito da tale sintomatologia? Questi due interrogativi sono diventati per me esperienza concreta durante l’ultima ascensione, quando con l’amico Giovanni sono salito sul Castore, cima del gruppo Monte Rosa a oltre 4220 m di quota.
Il mal di montagna (o comunque sintomi riconducibili a esso) mi ha colpito perchè, pur avendo una discreta esperienza e un buon allenamento non ho seguito certe regole basilari. Tutto è iniziato sabato mattina: dopo un’abbondante colazione ripetuta due volte, una da solo a casa e una al bar in compagnia, sono partito con Johnny alla volta di Gressoney la Trinitè sicuri di fermarci a mangiare qualcosa prima di salire al rifugio Quintino Sella (3585m). E invece, l’iniziale corsa per prendere l’ultima funivia prima della lunga pausa pranzo, poi, il ristorante annesso alla stazione a monte chiuso, ci hanno costretto a saltare il pranzo. Quindi, siamo saliti alla volta del rifugio, speranzosi di addentare qualcosa una volta arrivati. Peccato che ho tenuto un passo piuttosto celere, e questo se da un lato c’ha permesso di arrivare a destinazione con lungo anticipo dopo oltre 2,20 h di camminata, dall’altro mi ha completamente stordito a causa del notevole salto altimetrico affrontato (circa 1900m da Gressoney) e non mi ha permesso di acclimatarmi adeguatamente. Sin da subito la nausea, la spossatezza e un po’ di cefalea si sono impossessati di me. A fatica sono riuscito a riposare un po’ prima di cena, con scarsa voglia ho cenato e ancora peggio sono andato a letto, dove a causa del malessere, della quota e della numerosa camerata (circa 50 persone stipati su letti a castello in uno stanzone grande), non ho chiuso occhio e ho cominciato a girarmi su me stesso come se stessi rosolando.
L’indomani mattina tutto sembrava essere a posto, colazione consumata con gusto, preparativi in perfetto stile, quindi alle 5,30 la partenza. L’ascensione non presenta sin da subito alcuna difficoltà alpinistica, si potrebbe fare benissimo in solitaria e non in conserva, grazie anche alle abbondanti nevicate delle settimane scorse che hanno “tappato” i possibili crepacci. Purtroppo però, appena dopo 40min. dalla partenza si sono ripresentati i sintomi del malessere: è cominciato così un calvario personale, in cui ero scisso tra il fastidio che provavo, che mi rallentava molto nel cammino e mi “suggeriva” di tornare indietro, e il desiderio di arrivare in cima.
In qualche maniera, sostenuto dalle motivazioni personali e dalle incitazioni a non mollare da parte del mio compagno di corda, siamo giunti in cima sebbene con notevole ritardo, e da lì siamo ripartiti subito per paura di stare peggio. La via del ritorno l’ha guidata Giovanni che mi ha letteralmente tirato e sollevato dopo due cadute (nella seconda mi sono infilato un rampone in quel posto….mamma mia che dolore!!!) fino a ritornare al rifugio dopo quasi 3h. Quindi, dopo una breve pausa siamo arrivati alla stazione di monte della funivia dove ho ricominciato a prendere coscienza “di chi fossi e dove fossi”.
Giunti alla macchina ero stremato e anche un po’ deluso, poiché ho vissuto male l’ascensione, non me la sono goduta come volevo, condizione questa indispensabile.
Rimane di positivo il sostegno del mio compagno di cordata, di un paesaggio davvero incantevole, di un pranzo semplice a base di piatti tipici valdostani che mi hanno riappacificato col mondo!!












martedì 23 agosto 2011

PUNTI IN COMUNE - 11

“…La gente non vaga senza meta per poi ritrovarsi magicamente sull’Everest, commentava Zig Ziglar in Ci vediamo sulla cima: se non ci prefissiamo una meta ben precisa, un glorioso porto cui tendere, non arriveremo da nessuna parte. E Dante ci è maestro in questa attitude….”
(Enrico Cerni – Dante per i manager, pag. 8 – Ed. Gruppo 24ore)
Capacità di focalizzarsi sugli obiettivi, ottimizzazione delle risorse, metodologia da cecchino “one shot one goal”….e con la fortuna come la mettiamo?


“…Le aziende che non crescono e, invece di innovare, aspettano di vedere cosa succede, sono destinate a sparire. Per quanto grandi siano. Per quanto abbiano storia da raccontare. Per quanto imponenti siano le cifre dei fatturati….”
(Enrico Cerni – Dante per i manager, pag. 18 – Ed. Gruppo 24ore)
Forse sparire no, ma vivere in agonia e far vivere senza prospettiva i collaboratori si!

mercoledì 3 agosto 2011

Ascensione sul Grand Tournalin - la rivincita

Il 17 luglio è stato il giorno della rivincita sul Gran Tournalin. Dopo la “debacle” di giugno a causa della neve, sono ritornato per conquistare la cima.
Carico di energia come sempre, forte della possibilità di arrivare fino in fondo, alle 8 di mattina ero già al parcheggio con gli scarponi indossati, lo zaino in spalla e le racchette tra le mani. Come sempre ero in squadra con Johnny.
L’ascensione è stata dura ma spettacolare, soprattutto l’ultimo strappo (dove la volta scorsa c’eravamo fermati), perché bisognava usare mani e piedi ed era tutto in cresta. Durante la salita il tempo è stato bello e questo ci ha permesso una vista stupenda delle vallate sottostanti, rendendo la via più spettacolare perché il senso di vuoto sotto di noi era notevole. Peccato che una volta in cima siamo stati avvolti da una fitta nebbia, che ci ha costretto a ripartire dopo poco.













martedì 2 agosto 2011

PUNTI IN COMUNE - 10

“Siete già nudi – disse Steve Jobs ai neolaureati di Stanford – non c’è un motivo per non seguire il vostro cuore”. Non un percorso ragionevole, una strada sensata, un bel vialetto tranquillo, ma il cuore. Correre dietro a quello che ce lo fa battere, l’unica cosa per cui, spiega Jobs ai seguaci e agli affascinati, si riesce a vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo (perché prima o poi avremo ragione, e sarà davvero l’ultimo). Tutto il resto scompare: serve soltanto il cuore, e la fame. Per Jobs la morte è quel che spazza via il vecchio per far posto al nuovo, quindi bisogna sbrigarsi, fino a che si è ancora un po’ nuovi: senza vivere la vita di un altro, senza perdere tempo a farsi il nodo alla cravatta, se non è la cravatta che abbiamo in mente.
Tratto da “Il Foglio” del 19/02/2011)