martedì 16 aprile 2013

Calciatori in erba

Sabato scorso ho accompagnato i miei figli in parrocchia per le prove del coro, dove ormai da due anni cantano tutti e tre. Di solito li porta la mamma, che nei quaranta minuti di attesa fa una sosta in chiesa a pregare o si ferma con qualche conoscente al bar dell'oratorio.
Stavolta, essendo mia moglie andata a teatro con la nostra secondogenita, è toccato a me.
Siamo arrivati leggermente in ritardo e quel giorno le prove sarebbero finite un po' prima per via di un impegno del direttore del coro...cosa fare in quei trenta minuti?
Non c'era tempo per andare a casa, fare qualcosa e tornare, non sarei riuscito a portare dei libri in biblioteca e fermarmi a parlare, non avevo voglia di fare due passi a piedi perchè stanco dalla lunga corsa mattutina. Me ne sono rimasto in oratorio.
Nel campetto dell'oratorio, un magnifico campo a sette, da qualche anno rinnovato con tanto di prato sintetico, si giocava una partita di ragazzini della leva 2002. Il campo era stato ridotto nelle dimensioni e le porte erano quelle piccole trasportabili, ma per il resto tutto era equivalente a una partita seniores: le divise, la panchina con le riserve, l'occorrente per il soccorso, le bevande per idratare i calciatori, l'arbitro, un adulto, in divisa impeccabile.
Il pubblico era molto folto. Naturalmente erano presenti i genitori, ma non solo, anche molti nonni e qualche amico di papà o mamma.
Il tifo era molto caloroso, per fortuna contenuto nel linguaggio, chissà forse perchè eravamo in un oratorio, ma non per questo meno chiassoso. Fischietti, trombette e striscioni attorniavano il campo.
La partita è stata molto avvincente, soprattutto per i protagonisti. La classica partita di ragazzini, calciatori in erba: tutti dietro la palla, tutti in attacco e tutti in difesa. Un continuo scalciare, spingersi, correre in avanti e indietro come un moto perpetuo. Tutto questo a dispetto delle indicazioni date dagli allenatori che, chiamando continuamente per nome i loro singoli giocatori indicavano a ognuno la posizione in cui stare e l'avversario da marcare.
Marco, devi stare lì, hai capito?, lì e non là”
Luca, devi marcare il numero cinque, non devi andare in giro a fare vento, hai capito?”
Ad ogni domanda, la risposta era immancabilmente “si ho capito”.
Giusto il tempo della risposta perchè tutto riprendeva come prima.
E gli allenatori si sgolavano...come un padre che richiama il figlio a una responsabilità, a un ruolo che lui, adulto, vede meglio.
Ho trascorso il tempo a disposizione guardando la fine di quella partita e l'inizio della successiva, della leva 2000, ma avevo la mente altrove.
I miei ricordi sono andati a quando io alla loro età giocavo a pallone in oratorio.
In realtà, dove sono cresciuto io non esisteva la cultura dell'oratorio, non era concepito come un luogo di ritrovo dei giovani. In parrocchia ci si andava per la messa, per pregare, per il catechismo e qualche incontro. A otto, nove,...dodici anni non ci si vedeva, la domenica, in oratorio per trascorrere il pomeriggio. Per lo più si trascorreva il tempo giocando per strada a pallone o a casa da qualcuno.
Ma, chi come me ha fatto il chierichetto per tanti anni, andare in parrocchia significava, il sabato pomeriggio, partecipare all'incontro e poi scatenarsi nel campetto, in terra o in mattonelle, a giocare a pallone. Ed erano pallonate che volavano a destra e a manca, spesso accompagnati da qualche calcio, nei casi estremi da qualche spintone.
Nel mio caso, la parrocchia in cui ho fatto il chierichetto era la Chiesa Madre del paese dei miei nonni, nel centro dell'abitato. La parrocchia non disponeva di un campo da calcio ma di un grande cortile di forma non definibile, diciamo pressapoco quadrangolare, con alte mura, per fortuna senza finestre, che erano il retro di abitazioni adiacenti i locali parrocchiali.
Più che un cortile era un catino: infatti l'eco e il rimbombo per le grida e le pallonate era davvero assordante.
Ma questo non era un ostacolo per noi futuri Maradona, piuttosto un paio d'ore di penitenza per coloro che abitavano a ridosso del cortile che oltre alle urla sentivano rimbalzare sui loro muri le pallonate che noi non disdegnavamo di calciare.
Il prete, ce lo diceva sempre, “non tirate forte perchè potreste disturbare i vicini”.
Lo sapevamo di disturbare ma potevamo permetterci di tirare piano se c'era un evidente possibilità di fare gol calciando forte?
Mi è capitato di incontrare tante volte qualche “vicino” ed essere rimbrottato “tu sei uno di quelli che il sabato fa il diavolo a quattro col pallone, vero?” ed io rosso come un pomodoro confermavo, ma subito dopo “tranquillo, ho avuto anch'io dei bambini, e poi meglio tirare pallonate al nostro muro che andare in giro per strada a scrivere sui muri o suonare ai campanelli e poi scappare”....cosa, quest'ultima, che facevamo comunque dopo!!
Ricordo bene che le parrocchie organizzavano partite di calcio tra chierichetti, in campo neutro, per l'esattezza il campo di una piccola oasi della gioventù, poco fuori paese e facilmente raggiungibile in bici, gestita da suore. Un campo in terra dove le due porte erano definite da due coppie di robusti alberi piantati alla stessa distanza. Non ho mai saputo se fosse stato voluto da qualcuno, chissà quando, o fosse stato un caso. Sta di fatto che le porte avevano la stessa dimensione ed erano una di fronte all'altra. L'altezza della porta, invece, era definita dalla lunghezza delle braccia del portiere, a mani in alto, per cui se una squadra metteva in porta un ragazzo basso la porta era bassa, se metteva uno alto la traversa si alzava. E poiché spesso il ruolo del portiere non era fisso, ma a rotazione, perchè a tutti piaceva correre dietro la palla e a nessuno stare fermo e buttarsi a terra per parare un pallone, si capisce bene che l'altezza della porta era una variabile in continuo mutamento. Ricordo bene che a dodici anni, nella mia squadra c'ero io che ero piccoletto e un mio amico coetaneo, Paolo, che era alto quasi un metro e novanta: se alzavo il braccio ero comunque più basso della sua testa!!
Inimmaginabili le dispute che nascevano tutte le volte che qualcuno tirava in porta al di sopra della testa.
Era gol o era alto sopra la traversa? Erano discussioni, erano litigi, talvolta schiaffoni.
Altro che chierichetti. O meglio, nonostante fossimo chierichetti. 
Nei casi estremi interveniva il prete che ci toglieva il pallone e ci rimandava subito a casa. La punizione era rincarata da un divieto di servire messa per una settimana e a condizione che ci confessassimo comunque.
Ma il più delle volte, le partite, qualunque esse fossero, finivano sempre in maniera cordiale, certo, con il vittorioso che si prendeva gioco dello sconfitto, il vinto irato e carico di vendetta, ma comunque con un arrivederci alla rivincita.
Questo ricordo mi è venuto in mente perchè sabato, alla fine della partita c'è stata una squadra vincente e una sconfitta e i vincitori hanno deriso i vinti, e gli sconfitti hanno giurato di rifarsi nel girone di ritorno. Il tutto, conclusosi con una sincera stretta di mano....e qualche pianto.
Per la cronaca, gli ospiti hanno vinto 5-2.